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Al Teatro Ricciardi di Capua va in scena “L’Arte di Strisciare”

Venerdì 14 dicembre 2018, con inizio alle ore 21.00, al Teatro Ricciardi di Capua (struttura eretta durante la prima metà del secolo XVIII, l’attuale impostazione risale alla seconda metà del secolo XVIII e fu opera dell’ingegnere Francesco Gasperi che fu incaricato di portare a termine la ricostruzione e il rifacimento della facciata, in stile neoclassico, è stato effettuato nel 1929) la Compagnia “La Caterva” metterà in scena “L’Arte di Strisciare”, atto unico di Rosario Santella, tratto dal “Saggio sull’arte di strisciare ad uso dei cortigiani” di Paul Henrich Dietrich, Barone di (von) Holbach (08.12.1723 Edesheim, Germania – 21.01.1789 Parigi, Francia). Il saggio, scritto probabilmente nel 1764, circolò privatamente prima di essere pubblicato postumo l’anno dopo la Rivoluzione francese del 1789, nel numero di dicembre del 1790 della Correspondance, periodico curato da Grimm, e successivamente fu stampato per la prima volta come opuscolo autonomo nel 1813. La rappresentazione si avvarrà dei seguenti personaggi e interpreti: Napulione – Raffaele Serpe (prologo), Madame Tudò – Caterina Tanzi, Cavalier Giuseppe Pallieri di Ciccichè – Francantonio, Pompilio – Andrea Sodano, Capitan Masson – Fabio Paliolla. La regia sarà curata da Francantonio e Rosario Santella e i costumi saranno curati da Anna Antonucci. La rappresentazione avrà come ospiti d’eccezione il “Trio Opera” costituito da Marianita Carfora – voce, Ciro Ammendola – chitarra e Pasquale Termini – viola che si esibirà nel repertorio “Villanelle” del Settecento napoletano, che costituirà il primo atto della rappresentazione introducendo gli spettatori nell’atmosfera del Regno delle Due Sicilie. La commedia “ruota” prevalentemente sul ruolo e sulla figura del Cavalier Giuseppe Pallieri di Ciccichè interpretato, magistralmente, da Francantonio (Antonio Franco) che utilizza artisticamente la sua vasta e collaudata esperienza teatrale maturata sui palcoscenici dei più importanti teatri napoletani e nazionali. Francantonio, attore e regista di spessore, ha lavorato con i registi Enrico Ianniello, Tonino Taiuti, Toni Laudadio, Lucio Allocca, Renato Carpentieri, Stefano Iotti, Lello Serao, Glauco Mauri, Raffaele Rizzo, Enzo Varone e Giuseppe Sollazzo. Tra le tante sue interpretazioni si citano “Omaggio a Carlo Pisacane”, “Viaggio con Raffaele Viviani”, il “Faust” di Goethe, “Mattatoio n. 5” di Kurt Vonnegut, “La sala delle ceneri” e il “Don Felice” tratti rispettivamente da Giordano Bruno e da Antonio Petito, “I Menecmi” di Plauto, “Il malato immaginario” di Moliere, “La Tabernaia” di Giovan Battista Della Porta, l’“Ispettore Generale” di Gogol, “Qui rido io” di Eduardo Scarpetta, proposto dalla Compagnia di Roberto De Simone nell’ambito del “Napoli Teatro Festival Italia”. Francantonio ha diretto per diversi anni una scuola di teatro a Bellona e attualmente la dirige a Vitulazio (Auditorium Giovanni Paolo II) e dirige, anche, una Compagnia teatrale a Calvi Risorta, città che gli ha dato i natali e dove attualmente risiede.
L’autore dell’atto unico “L’Arte di Strisciare”, Rosario Santella, avvocato, scrittore e sceneggiatore di diverse opere teatrali, ha già meritato e conquistato sul “campo” diversi e significativi riconoscimenti e trofei. Il Santella ci presenta, ispirandosi al citato saggio del Barone D’Holbach, l’uomo di Corte quale prodotto più curioso che mostra la specie umana e questi è il più stupefacente tra tutti gli uomini. Un buon cortigiano non deve mai avere idee proprie ma deve sempre avere quelle del suo padrone o del ministro; deve avere lo stomaco molto forte per digerire tutti gli affronti che il suo padrone a piacere gli vuol fare; deve mettersi al corrente delle passioni e dei vizi del suo padrone al fine di coglierne le debolezze; deve essere affabile, affettuoso e cordiale con tutti coloro che potrebbero aiutarlo o nuocergli; deve salutare con calore la cameriera di una dama favorita; deve conversare familiarmente con il portiere o il valletto di un ministro; deve accarezzare il cane del “premier commis” e non deve essere distratto neanche un istante in quanto la vita di un cortigiano è uno studio continuo. La rappresentazione si sviluppa in un crescendo di situazioni comiche e disegna l’eterna condizione del “ruffiano” d’alto grado, continuamente proiettato in una condizione di devozione interessata, di rinuncia alla dignità e alle regole del retto vivere, di obliterazione totale ad una propria vita morale e cala il sipario con un colpo di scena finale che si rivela insieme all’arrivo delle truppe francesi in città e alla precipitosa fuga del Sovrano in Sicilia.

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