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Roccamonfina avrà un Museo bellico

L’iniziativa di un gruppo di ragazzi roccani, di dare vita all’Associazione “Una storia da raccontare” che ha come intento quello di ricordare il periodo drammatico che inizia con il 23 settembre del 1943, giorno in cui i giovani roccani furono deportati nei campi di concentramento nazisti, evidenzia una sorta di sensibilità che li ha spinti a compiere ricerche nella storia della piccola realtà locale, fino a visitare i luoghi di prigionia, per ricostruire minuziosamente ed oggettivamente i fatti che hanno coinvolto i loro concittadini durante la Seconda guerra mondiale. Ma cosa spinge queste nuove generazioni a voler riportare alla memoria collettiva questo triste episodio bellico? Lo chiediamo all’avvocato Valerio Buco, che insieme ad Emanuele Petteruti è tra i promotori e curatori dell’iniziativa del nascituro Museo bellico roccano.
Avvocato, da cosa nasce l’idea di questa iniziativa?
Il punto di partenza dell’iniziativa è la passione per la storia, in particolar modo quella degli anni bui precedenti lo scoppio del secondo conflitto mondiale nonché di quelli coincidenti con l’intero periodo bellico, in una espressione globale e approfondita, che ci ha spinti, sin dal 2015, a ricercarne gli sviluppi nel loro reale accadimento, focalizzandoci altresì sull’impatto dei tragici avvenimenti di quel periodo sulla vita quotidiana di una piccola comunità quale quella di Roccamonfina, in una visione del tutto scevra da qualsiasi ideologia politica del tempo e tesa unicamente al “racconto”.
In che modo è stata condotta la ricerca degli eventi e degli oggetti bellici?
L’attività di ricerca è stata condotta non solo nella raccolta di testimonianze rese da chi ha vissuto in prima persona gli eventi di quegli anni, ma anche nella ricerca di materiale appartenente sia alla popolazione civile che alle varie compagini militari avvicendatisi sul territorio.
Perché una mostra di oggetti bellici
Nella mostra, tenutasi il 23 settembre u.s. in occasione della Cerimonia di Commemorazione dei deportati nei campi di concentramento nazisti, erano esposti reperti riconducibili all’equipaggiamento militare in dotazione agli schieramenti impegnati nel conflitto, oltre ad accessori personali e ad oggetti di uso quotidiano posseduti dagli abitanti di Roccamonfina, senza trascurare il materiale cartaceo ritrovato, quali mappe, articoli di giornale e tessere di riconoscimento personali. “In fondo, anche gli oggetti risalenti a quel periodo, e perfino ai soldati, hanno una propria storia, che “racconti” e sia raccontata, in grado di insegnarci che le nefandezze commesse durante gli anni del conflitto non siano più perpetrate, che dalle macerie si possa ricostruire”.
La mostra sarà sempre aperta al pubblico?
L’associazione “Una storia da raccontare” è già in contatto con l’Amministrazione comunale di Roccamonfina per la realizzazione di una mostra permanente, sempre aperta al pubblico e liberamente fruibile da tutta la collettività.

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