Pasqualino Vito autore del libro “Dalla terra alla terra”

Pasqualino Vito nasce nel 1960 a Muralto, piccola cittadina del Canton Ticino, Svizzera. Figlio di emigranti, rientra nel 1969 a Rocchetta e Croce (CE), paese natio dei genitori. Si laurea in Architettura all’Università “Federico II” di Napoli ed inizia subito l’attività professionale. Attualmente ha un avviato studio a Calvi Risorta. L’attaccamento alle radici del piccolo paese, alle pendici del Monte Maggiore, lo porta a comporre componimenti, apprezzati e riusciti, in dialetto vernacolare “rocchettano” e poesie in lingua. Ha anche presentato e recitato sue composizioni poetiche nella “Serata d’Ascolto”, organizzata il 25 novembre u.s., dall’Associazione Culturale Musicale “Muzak” di Calvi Risorta, Presidente la Maestra Rina Colella, dove la musica e la poesia si sono fuse e si sono completate in un solo linguaggio.
Il libro, edito da Marotta e Cafiero di Napoli, si avvale dell’acume presentazione di Maria Mercone. L’Autore dedica il lavoro ai suoi prozii “Fanti nella Grande Guerra” Vito Francesco (1898 – 1918) e Vito Emilio (1900 – 1918) e lo ambienta nell’anno 1918, in piena guerra, ma non è affatto un racconto di guerra. La narrazione va dal maggio al 4 novembre 1918, giorno della firma dell’armistizio con gli austro – ungarici. I fratelli Vito, Francesco ventenne ed Emilio diciottenne, sono impegnati nella mietitura del grano, con il padre Pasquale, in un appezzamento di terreno di loro proprietà, situato alla periferia del piccolo centro abitato, quando si vedono notificare da due carabinieri la cartolina precetto per l’arruolamento. In pochi giorni i due giovani che non hanno mai lasciato Rocchetta e sanno solo fare il lavoro nei campi e non hanno cognizione alcuna del perché della guerra, si trovano al fronte, prima a costruire i fossati per la trincea e poi protagonisti nelle battaglie sui Monti Pertica e Prassolan. La loro ultima battaglia ha per teatro il Monte Grappa e Francesco ed Emilio operano in postazioni diverse e dopo alcuni tentativi di ricongiungimento si trovano ad un tiro di schioppo “gli ultimi tre balzi e quindi di nuovo insieme”. Il nemico oppone resistenza e, di conseguenza, ritarda l’avanzata dell’esercito italiano. L’Autore conclude il suo rievocativo lavoro scrivendo che “Bisognava che il gruppo più avanzato sferrasse un attacco più deciso per stanare gli austriaci, quindi le retrovie avrebbero chiuso lo scontro. Il blocco più avanzato era composto da poche decine di uomini, tra i quali i due fratelli; l’ordine serpeggiò tra i soldati e giunse a destinazione. Tutti erano pronti: fucili carichi, determinazione e convinzione non mancavano, l’ultimo ostacolo e poi la battaglia finale e quindi la vittoria. Francesco ed Emilio, come gli altri, imbracciarono i fucili, si strinsero la mano in attesa del comando che arrivò dalle retrovie. Al grido di Viva l’Italia si sollevarono da terra, poggiarono i piedi sullo sperone roccioso che fino ad allora li aveva occultati al nemico e, come angeli, spiccarono il volo oltre di esso. Il bagliore dello scoppio di una granata illuminò i due in volo facendo brillare i fazzoletti rossi come fossero stelle di Orione, poi il silenzio e il tonfo nella terra umida squarciata dalla bomba. Era il 1° novembre 1918, il giorno dopo fu sferrato l’ultimo attacco contro il nemico e il giorno 3, dopo la battaglia di Vittorio – Veneto, l’Austria – Ungheria chiese l’armistizio che fu firmato il 4 novembre. Nei giorni seguenti volontari civili e militari calcavano il campo di battaglia in cerca dei feriti nella raccolta dei corpi o delle sole piastrine con le matricole per dare loro una degna sepoltura. In una grossa buca scavata da una granata, nella nuda terra, i resti di due soldati, di loro le mani strette e i brandelli di due fazzoletti rossi, null’altro. Non hanno una tomba, né una croce o una lapide col nome, riposano, insieme agli altri 651.000, nell’immensa terra senza confini, avvolti dalla bandiera della pace e ricordati su una stele nel proprio paese, posta a monito, non ascoltato”.

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