Un dolce intramontabile: gli struffoli

Nel periodo natalizio non c’è, in Campania, casa che rispetti la tradizione che non sia inebriata dal profumo degli struffoli appena fritti e dall’odore dolciastro del miele portato a bollore nel quale vengono immersi fino ad esserne completamente ricoperti. Benché rappresentino forse il dolce più napoletano che ci sia, le origini di queste golosissime palline di farina, uova, zucchero, burro ed aromi fritte in olio bollente e, una volta raffreddate, avvolte dal miele e decorate con frutta candita, e confettini variopinti, ‘e diavulille, sono tutt’altro che napoletane. Difatti, pare che siano un prodotto di importazione greca come testimonia la stessa etimologia del termine, che deriverebbe precisamente dalla parola “strongoulos”, ovvero “arrotondato”. Secondo un’altra versione, invece, pare che la parola struffolo derivi da “strofinare” in riferimento al gesto di arrotolare l’impasto a cilindro prima di tagliarlo in palline. C’è chi ritiene, infine, che lo struffolo si chiami così perché “strofina” ossia “solletica” il palato per la sua bontà. Un’altra ipotesi più strettamente legata all’origine piuttosto che all’etimologia, individua una derivazione degli struffoli da un dolce inventato dai cugini spagnoli. Esiste, infatti, una notevole somiglianza tra il dolce tipico napoletano e il piñonate, che differisce solo per la forma delle palline di pasta, leggermente più allungate. Derivazione che ovviamente si spiegherebbe con il lunghissimo vicereame spagnolo a Napoli. Districare il groviglio di interpretazioni e derivazioni etimologiche e storiche è sempre un’impresa ardua, per cui evitiamo di scervellarci e gustiamoci questo “sfizio” della tradizione natalizia, proprio come gli struffoli vengono etichettati in una poesia napoletana: “A fa ‘e struffoli è nu sfizio. Cumminciamm dall’inizio: faje na pasta sopraffina, e po’ tagliala a palline, cu na bona nfarinata. Dopp’a frje. Già t’e stancate? Chest è a parte chiù importante! Mò ce vo’: miele abbondante e na granda cucuzzata (a cocozza nzuccherata). N’è fernuto ancora, aspiette! S’anna mettere ‘e cunfiette: aggrazziate, piccerille, culurate: ‘e diavulille… Ma qua nfierno, è Paraviso! Iamme, falle nu surriso! Comme dice? “Mamma mia, stanne troppi ccalurie so’ pesante, fanno male?” Si va buò, ma è Natale!”.

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