Il sistema culturale italiano. Una perla preziosa che non sappiamo più “indossare”

Dagli ultimi dati Istat, relazione 2015, si evince che il nostro Bel Paese può vantarsi, nel mondo, di ben 4976 musei e istituti tra pubblici e privati, di cui 282 aree archeologiche e 536 complessi monumentali. L’Italia, che si posiziona al primo posto nella classifica dei beni tutelati dall’Unesco, con ben 51 siti patrimonio dell’Umanità su 1131 in tutto il mondo, ha una fortissima presenza della cultura in tutti i propri variegati territori. Con circa 110,6 milioni di ingressi nel 2015, concentrati per il 50% in sole tre regioni (Lazio, Toscana e Campania), e considerando anche che buona parte delle aree archeologiche sono al sud, il nostro stivale immerso nel Mediterraneo attira visitatori da Usa, Europa e Asia mantenendosi ai vertici del turismo mondiale, investendo, però, davvero pochissimo in confronto ai suoi più diretti concorrenti (Spagna, Francia, Gran Bretagna, Austria e Messico). L’Italia è un museo diffuso, un mix perfetto di aree rurali, di centri urbani antichi, di aree archeologiche, di paesaggi marini e montani da sogno, di aree enogastronomiche oramai autonome dal punto di vista attrattivo, ma spende solamente lo 0,3% del proprio Pil per mantenere, valorizzare, studiare e promuovere i suoi invidiati beni culturali. Nel ricordare che la regione Campania possiede ben 214 siti culturali di primo piano, tra cui addirittura ben 11 siti Unesco, con la Reggia di Caserta e gli scavi archeologici di Pompei che restano stabilmente attrattori importantissimi per l’intero sistema culturale italiano, essendo 2 dei siti mondiali patrimonio dell’Unesco più importanti dal 1997, va evidenziata un’altra importante anomalia della nostra regione: siamo l’area d’Italia con la più bassa spesa corrente delle amministrazioni comunali per la gestione del patrimonio culturale (musei, biblioteche, pinacoteche, etc.).
Le politiche locali italiane, quindi, mostrano aspetti davvero difformi e talvolta mostruosamente distanti, come si può comprendere pensando alla provincia di Trento, in testa alla classifica, che ha speso in media, tra il 2011 ed il 2013, circa 27,65 € procapite per i propri beni culturali rispetto ai miseri 2,26 € procapite dell’intera Campania. Ciò indica una preoccupante situazione che non possiamo semplicemente considerare in veste economica. Sicuramente, investendo meno avremo risultati più scarsi e non in linea con il reale potenziale economico di attrattori come lo storico Museo Campano di Capua che, addirittura, rischia la chiusura, ma bisogna andare oltre, proprio come dicevo pochi giorni fa nell’articolo sui “paesaggi urbani e la sicurezza dei cittadini” (link diretto http://bit.ly/2uvU19A), e pensare alle conseguenze sociali e commerciali di questo sostanziale abbandono del sistema cultura nei nostri territori. Oltre a perdere importanti occasioni di sviluppo, quindi occupazione e introiti fiscali per le casse delle varie amministrazioni pubbliche locali, ciò che perdiamo è il controllo delle nostre città. Non a caso, e non solo per intelligenti idee lucrative, molti dei nostri centri urbani si sono paurosamente svuotati per far posto ai ritrovi virtuali dei centri commerciali. La desertificazione dei nostri corsi, delle nostre piazze, e la conseguente chiusura dei vari esercizi locali una volta disseminati nelle città e nei piccoli centri oramai relegati a dormitori, è un vero attentato alla nostra vita. Lamentarsi delle nuove generazioni è semplice, meno facile è darsi da fare per rinvigorire i territori partendo proprio dalle perle che abbiamo in casa. È intorno ai borghi, alle strade da passeggio, ai musei, alle aree archeologiche cittadine (ad esempio l’Anfiteatro di S.Maria C.V.) che si deve ripartire per far uscire dall’isolamento i giovani e le famiglie. Una volta, ricordo con nostalgia, il Corso Trieste a Caserta era il felicissimo incubo del fine settimana. Un’arteria della città che pullulava di ragazzi e famiglie, tra struscio, pizze, cinema, negozi di scarpe, abbigliamento, gelaterie e traffico di veicoli che non riuscivano a passare per la grande massa di persone a passeggio. Ma anche in centri più distanti come Bellona, la città della pizza, vi era l’onerosa lotteria del trovare posto nei locali e, ancor più, quella del trovare parcheggio. Ragazze e ragazzi che, senza gli eccessi che oggi vediamo con alcool e droghe, davano vita a quelle città e quei paeselli più interni che caratterizzavano, e dovrebbero ancora caratterizzare, il vivere all’italiana. Pochi, però, hanno oculatamente osservato che questo sistema di relazioni, umanità, commercio, politica e sicurezza, era sostanzialmente incentrato proprio sulla cura del territorio, dei paesaggi, delle tradizioni religiose e laiche, degli incontri sportivi, ovvero dei nostri beni culturali. Da ricercatore mi permetto di ricordare che il termine bene culturale deve essere inteso nell’accezione moderna, quella più ampia che include non solo i musei, le aree archeologiche, le regge, le chiese storiche ed i borghi medievali, ma anche e soprattutto l’intero tessuto economico e sociale: bar, stadi, piazze, ristoranti, alberghi, attività produttive e artigianali, cinema, teatri, chioschi e viuzze. Ed il controllo del territorio era un automatismo dovuto alla presenza dei cittadini in strada. Non vi erano, insomma, molte aree abbandonate e quindi terra di nessuno da conquistare in modo criminale. Erano le famiglie con i bambini, i proprietari di esercizi commerciali, i custodi dei musei, gli impiegati comunali, i parroci, i vecchietti sulle panchine, le nonne affacciate al balcone ed i papà al bar dello sport a controllare il territorio. Non servivano poliziotti per sedare piccole risse tra giovani. C’erano le urla delle nostre mamme. Non serviva il 118 per risolvere un semplice malore. C’erano i clienti di negozi e bar. Non serviva andare a prendere in suv i figli a scuola. Bastava un nonno o un fratello maggiore che camminava per strada con gli altri studenti. E tutto ciò esisteva, e non lo dico per fare il nostalgico, perché il territorio era vivo e ruotava proprio intorno ai beni culturali che davano anche le preziose coordinate geografiche per i continui rapporti sociali. Tutto ciò che da qualche anno stiamo trascurando. Insomma, la foto che l’Istat ci rende del nostro Paese, e soprattutto della nostra realtà regionale, non è delle migliori.
Per dirla in breve l’Italia è una bellissima perla che non sappiamo più indossare.
Ritorniamo a parlare di piazze, regge, musei, manifestazioni musicali, struscio, pizzerie, ristoranti, incontri sportivi, feste religiose, borghi medievali, paesaggi montani e città di mare, e riappropriamoci della nostra vita all’italiana. Quella vera. Torniamo ad indossare con orgoglio quella bellissima perla che è la nostra cultura. 

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