La sicurezza delle persone passa per il rispetto dei “beni culturali”

Prima di continuare a parlare di beni culturali, che intendo sempre nella più vasta accezione possibile, ovvero aree archeologiche, chiese, affreschi, regge, mura antiche, etc., come architetture moderne, cultura sportiva e industriale, arte digitale e capitale umano, inteso come esperienze e competenze di persone di ogni ceto sociale ed età, voglio parlarvi di un concetto interessantissimo spesso trascurato, interpretato male, strumentalizzato, e qualche volta anche rinnegato. La teoria di cui vi parlerò oggi, davvero semplice da comprendere perché calata totalmente nella realtà quotidiana, ci aiuterà a comprendere come la cultura, che si dipana in ogni espressione umana, tranne la violenza ovviamente, non è qualcosa di astratto e lontano dai piccoli e grandi problemi che entrano nelle nostre vite, anzi è l’esatto opposto, nonostante si tenda sempre ad ignorare questa connessione più intima di quanto si pensi. Ma “veniamo con questa mia addirvi”, con direbbe il mitico Totò! Nella realtà quotidiana, in tutte le epoche, abbiamo sempre avuto la consapevolezza di “zone franche”, di aree talmente degradate da diventare mitologiche, inaccessibili addirittura allo Stato. Magari c’è esagerazione in certe leggende metropolitanie, ma, indipendentemente dalle eventuali esagerazioni, è innegabile che alcuni “paesaggi urbani” sono inquietanti, altri tendono a diventarlo, mentre alcuni vengono recuperati e riportati a nuova vita invertendo la spirale del degrado. Proprio del concetto di “degrado” si occuparono, a fondo e scientificamente, due sociologi-criminologi americani nel lontano mitico 1982 (nessuno mi tocchi quei mondiali!!!). In quell’anno, James Q. Wilson e George Kelling pubblicarono un articolo scientifico intitolato the Broken Window Theory (La Teoria della finestra rotta), il quale dichiarava che il comportamento sociale umano, indipendentemente dalla zona più o meno degradata in cui si vive, è sempre lo stesso, ovvero tendente ad una spirale di violenza e ad effetti predatori quando inizia l’incuria, il degrado e l’abbandono del territorio. Lo studio evidenziò questi risultati grazie ad un semplicissimo ma interessante esperimento, il quale fu realizzato abbandonando due auto in aree completamente diverse e distanti. L’auto abbandonata con un finestrino rotto nel Bronx a New York, zona notoriamente malfamata per anni, fu immediatamente saccheggiata e distrutta, mentre un’altra auto, lasciata integra in una zona “normale” della California (Palo Alto), non venne assolutamente toccata. Però, e qui bisogna riflettere, appena la variabile del “degrado” comparve anche nel quartiere “bene” californiano, e l’auto fu lasciata per un’ulteriore settimana con un finestrino rotto, i comportamenti umani furono gli stessi della zona malfamata newyorkese: l’auto fu ugualmente saccheggiata e completamente distrutta. Ci si rese conto, quindi, che i segnali di “abbandono” facevano (e fanno) saltare i normali rapporti civili, e anche dove vigeva benessere e tranquillità poteva scatenarsi una spirale di degrado crescente. Questa teoria, che a New York fu interpretata in modo autoritario, ovvero la si prese a riferimento per giustificare interventi repressivi via via più duri per tutti i cittadini, in effetti può spiegarci in modo pacifico come curare i nostri “paesaggi”. Se qualcuno deturpa un bene pubblico, un monumento (come avviene spesso nelle nostre città d’arte), una semplice panchina, o magari inizia col danneggiare per puro divertimento un’autovettura privata, un portone di un edificio privato, la fontana di un giardino pubblico, etc., e non si pone immediatamente rimedio a ciò che “si vede e si avverte” guardando quello scempio, i cittadini iniziano automaticamente a sfiduciare lo Stato e se stessi. Ciò, come si può ben comprendere, porta ad una rassegnazione che alza la tolleranza per quei gesti, e mancando l’indignazione e la lotta civica per rimettere in ordine il territorio, il quartiere, il condominio, o un’intera città, inizia una corsa senza freni verso ulteriori atti di violenza e di deturpazione. Ciò è avvenuto per i nostri beni culturali, come ad esempio Carditello o alcune fontane di Roma (ricordate lo scempio dei tifosi olandesi alla Barcaccia in Piazza di Spagna?), è avvenuto per interi quartieri che via via sono diventati simbolo e luogo di spaccio e prostituzione a cielo aperto, ed avviene anche per i “paesaggi politici e imprenditoriali”, dove ci si è oramai rassegnati alla corruzione, un fenomeno che al massimo ci fa sorridere quasi allegramente mentre in tv passa l’ennesimo arrestato che brindava e gozzovigliava con i soldi delle nostre tasse. Cosa significa tutto ciò? Significa che se rendiamo “normale” lo scempio che ci circonda, a partire dalle bellezze del nostro territorio, rendiamo normale il degrado e lo accettiamo, ma soprattutto lo alimentiamo costantemente con la nostra indifferenza.
Per questo, se mi permettete un consiglio, che vale anche e soprattutto per me, iniziamo in modo assurdamente semplice ad amare i nostri luoghi, i nostri paesaggi, e giorno dopo giorno parteciperemo alla rinascita dei nostri paesaggi. Riappropriamoci della dignità di cittadini. Visitiamo un museo, anche se piccolo e meno interessante del Louvre; facciamo una passeggiata con gli amici invece di restare chiusi solo in un centro commerciale; prendiamo un treno o un bus per arrivare in un altro luogo, ed evitiamo, cosi, di consegnare al degrado, all’abbandono e alla rassegnazione i nostri “paesaggi fatti di uomini, tradizioni e vita”.
Aggiustiamo quella finestra rotta. Ora !

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