Il tragico destino di Otto, il ragazzo americano rilasciato dalla Corea del Nord
E’ morto, nemmeno una settimana dopo essere tornato a casa. E’ chiaro, quindi, che le autorità nordcoreane si sono liberate di Otto Warmbier perché consapevoli che era ormai in fin di vita e volevano evitare il problema del suo decesso nelle loro prigioni. La sua fine diventa così una beffa nei confronti dell’amministrazione Trump, proprio mentre le tensioni con gli Usa sono salite al massimo degli ultimi tempi, a causa del programma nucleare di Pyongyang che prosegue.
Warmbier era uno studente di 22 anni, nato in Ohio e iscritto alla University of Virginia, che alla fine del 2015 era andato in Corea del Nord con un viaggio di gruppo organizzato da un’agenzia cinese. La notte di capodanno era entrato in una sala dell’albergo dove alloggiava, riservata al personale, e aveva rubato un poster propagandistico del regime. La polizia lo aveva arrestato il giorno dopo all’aeroporto, mentre si preparava a partire, accusandolo di aver commesso un atto ostile allo stato.
Durante il processo, Otto aveva ammesso la sua colpa, confessando di aver preso il poster perché un amico, negli Usa, gli aveva offerto in cambio un’auto usata da 10.000 dollari. Si era scusato, ma questo non era bastato ad evitare una condanna a quindici anni di lavori forzati, dopo un giudizio sommario durato appena un’ora. Da quel momento era scomparso.
La settimana scorsa si è saputo che era caduto in coma nei giorni successivi alla sentenza, perché, secondo le autorità nordcoreane, aveva contratto il botulino e preso pillole per dormire. La rivelazione era stata fatta dopo la decisione di Pyongyang di liberarlo, invitando gli Usa a mandare un aereo militare per prelevarlo.
Il 13 giugno scorso, Otto era tornato a Cincinnati, dove i medici avevano subito compreso la gravità del danno subito: una “massiccia perdita di tessuto cerebrale in tutte le regioni dell’organo, causata da un arresto cardiopolmonare che aveva bloccato l’afflusso del sangue alla testa”. Il padre ha così descritto le sue condizioni: “Non risponde ad alcuno stimolo. Si nota solo nella sua faccia la serenità, derivata dal fatto che forse ha capito di essere tornato a casa”. L’agonia del ragazzo è finita nel primo pomeriggio di lunedì, quando la stessa famiglia ha annunciato la sua morte, accusando il Governo asiatico di averlo ucciso. “Vogliamo che il mondo sappia che nostro figlio è stato brutalizzato e torturato da un regime pariah”.
L’amministrazione Trump aveva rivendicato la liberazione di Otto come un successo, accusando Obama di passività, ma la realtà delle cose appare ora del tutto evidente. Quello che sembrava un atto conciliatorio si è trasformato in un nuovo affronto, mentre le tensioni crescono a causa della minaccia del programma nucleare rilanciato dal giovane leader Kim Jong Un. “Il destino di Otto – ha commentato il presidente Trump – rafforza la determinazione della mia amministrazione a prevenire che simili tragedie accadano a persone innocenti, per mano di regimi che non rispettano la legge e la basilare decenza umana. Gli Stati Uniti condannano ancora la brutalità del regime nordcoreano, mentre piangiamo la sua ultima vittima".