Vicende dello Sri Lanka

La resa del 17 maggio 2009 da parte dei guerriglieri tamil chiude, almeno per il momento, una stagione di scontri molto cruenti tra l'esercito dello Sri Lanka ed i combattenti di questa formazione, da tempo impegnata nella lotta armata. Gli scontri sono terminati con la morte dei massimi dirigenti dell'Esercito di liberazione delle Tigri Tamil (Ltte; i guerriglieri tamil, infatti, vengono soprannominati “tigri” per la propria fierezza), compreso il capo supremo che pareva imprendibile, Vellupillai Prabhakaran. Insieme a lui sono morti anche il comandante della "marina" tamil, “Le Tigri dei Mari”, Soosai, e il capo dei servizi segreti del gruppo, Pottu Amman. Entrambi, dicono i militari dello Sri Lanka, si trovavano su un’ambulanza. 

"Quando le truppe hanno aperto il fuoco, l'ambulanza ha cercato di fuggire, ma è stata colpita e ha preso fuoco" riferiscono fonti locali riportate dall’agenzia giornalistica Ansa. In precedenza, era stata anche confermata la morte del figlio di Prabhakaran, Charles Antony, il cui cadavere è stato mostrato in televisione. Tuttavia, esistono delle contraddizioni sulle circostanze della morte di Vellupillai Prabhakaran da parte delle stesse autorità governative, dato che il ritrovamento del cadavere è stato annunciato sia sulle rive del lago Nanthikadal che, appunto, semi-carbonizzato presso l’ambulanza. La morte di Prabhakaran in realtà non è del tutto certa, ed i combattenti tamil hanno annunciato che Vellupillai Prabhakaran è “vivo e vegeto”, pronto “a guidare la lotta per la libertà e la dignità del popolo tamil”. I vertici dell'Ltte, ha infine reso noto il 18 maggio l'agenzia dei tamil Tamilnet (www.tamilnet.com), hanno tentato disperatamente di far intervenire il Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) per salvare un migliaio di militanti e civili Tamil nella "zona di sicurezza". Ma è stato inutile, conclude Tamilnet, e "tutto si è concluso con un omicidio premeditato da parte delle forze armate singalesi (Sla)". L’ONU, nel frattempo, ha chiesto un’inchiesta per appurare le responsabilità nelle violazioni dei diritti umani nei confronti dei civili tamil. Prima di ripercorrere di più, però, gli avvenimenti più recenti riguardanti gli ultimi densi e tragici episodi di guerra civile nello Sri Lanka, è importante ed utile avere un quadro della situazione geopolitica di quest'isola dell'Oceano Indiano, la quale, per la sua bellezza meravigliosa, serena, è nota come "la perla" dell'Asia meridionale; inoltre, per la sua vicinanza all’India, lo Sri Lanka è stato soprannominato, suggestivamente, “lacrima dell’India”. Gran parte della popolazione srilankese appartiene all'etnia singalese (detta anche "cingalese"): dal punto di vista spirituale e culturale, i singalesi sono in maggioranza buddhisti, pur esistendo anche una minoranza di singalesi cristiani; la lingua singalese è parte della famiglia delle lingue indoeuropee, e precisamente del sottogruppo indo-ario. I tamil, invece, rappresentano circa il 18% della popolazione dell'isola (che conta, complessivamente, attorno ai 18 milioni di persone); le popolazioni tamil sono esponenti di un'etnia dravidica, cioè di uno dei gruppi di popolazioni più antiche dell'Asia meridionale; la lingua tamil, del resto, è parte della famiglia delle lingue dravidiche, un tempo prevalenti, in India, prima dell'arrivo delle popolazioni indoeuropee dal Nord, ed attualmente riposizionate, per lo più, nell'India del Sud, tranne che in pochi casi (ad esempio la lingua brahui, dravidica, viene parlata da una minoranza etnica pakistana). Il tamil, comunque, che ha una tradizione letteraria antichissima e prestigiosa, soprattutto riguardo le opere in poesia, è parlato pure nell'India meridionale, nello Stato federato indiano del Tamilnadu; a differenza, però, degli indiani di lingua tamil, la popolazione tamil dello Sri Lanka risiede nella parte nordorientale di quest'isola da circa 2000 anni (tranne che nel caso di alcuni tamil di origine indiana, trasferitisi nello Sri Lanka in tempi più recenti). I tamil sono in larga parte induisti, pur essendovi tra loro compresi alcuni nuclei di cristiani. L’induismo praticato dai tamil del luogo, inoltre, ha alcune tradizioni peculiari, che si differenziano da quelle prevalenti nella popolazioni indiane della stessa fede: ad esempio, i resti dei morti non vengono consegnati alle acque, ma sono sepolti, affinchè la loro presenza possa favorire la nascita di fiori e frutti, in comunione con la natura… Altre etnie srilankesi sono i moors, i vedda, i burghis ed una comunità di origine malese. I moors sono una popolazione mista, di religione musulmana, che un tempo parlava un linguaggio denominato "arwi", caratterizzato da numeroso vocaboli arabi; attualmente l'arwi non viene più parlato, ed i moors si esprimono, solitamente, in tamil. I vedda, spesso in posizione marginale, sono i discendenti dei più antichi indigeni dello Sri Lanka: abitano solitamente nei boschi, praticano una religione animista e si esprimono in un linguaggio appartenente ad un gruppo antichissimo, denominato munda, un tempo largamente diffuso nel subcontinente indiano, ed attualmente confinato a poche  aree nella stessa India. I burgher, invece, sono esponenti di una popolazione di discendenza mista, asiatica ed europea: precisamente con radici tra gli olandesi, colonizzatori in Sri Lanka prima degli inglesi che poi subentrarono loro. La coesistenza tra le varie etnie dello Sri Lanka, comunque, fu sostanzialmente molto pacifica fino al 1983, anno nel quale divampò la rivolta dei tamil, che rivendicarono il diritto ad avere un proprio Stato del tutto indipendente, nella fascia di territorio attorno alla città tamil di Jaffna, che avevano intenzione di chiamare “Tamil Eelam”, che in italiano si può rendere con  “Patria Tamil”. Le proteste dei tamil, espresse soprattutto dai combattenti del gruppo armato che usava il nome, appunto, di“Tigri per la Liberazione del Tamil Eelam” suscitarono la repressione, spesso indiscriminata e spietata, dell’esercito srilankese, a maggioranza singalese. La battaglia dei tamil certamente era stata favorita dall’auto-consapevolezza di subire frequentemente un trattamento di emarginazione e discriminazione sociale e politica da parte di strati significativi delle classi dirigenti singalesi; inoltre, tutto ciò s’innestava su un’antica e molto profonda aspirazione del popolo tamil ad attuare la propria autodeterminazione, basandosi, peraltro, su un diritto riconosciuto dalla comunità internazionale per i popoli che vi aspirassero in parte almeno maggioritaria, cosa che in effetti, era tale pure per i tamil dell’isola. Anche l’Onu riconobbe che nella società dello Sri Lanka esistevano profonde discriminazioni ai danni dei tamil, che portarono allo scontro violento, ma non intervenne per tutelare l’eguaglianza dei diritti della minoranza tamil. Negli anni ’80 i disordini e le violenze arrivarono fino alla capitale Colombo, inoltre un migliaio di civili tamil furono trucidati e migliaia di altri divennero profughi. Certamente la lotta dei gruppi armati tamil si rese responsabile, in alcuni casi, di atti sbagliati e condannabili: in particolare, si verificarono a loro opera attacchi terroristici indiscriminati ed episodi di settarismo intransigente nei confronti di altre organizzazioni tamil. Tuttavia, è anche giusto ricordare che la causa di una Patria indipendente nella quale i tamil non siano discriminati è, di per sé, senz’altro giusta, ed inoltre, nello Sri Lanka, il terrorismo è stato anche e soprattutto di Stato, ai danni proprio del popolo tamil. Tra l’altro, è interessante ricordare che, nel corso della loro strenua battaglia per l’autodeterminazione nazionale, alcuni tamil attuarono degli attentati suicidi: tra questi, vi furono anche alcune donne kamikaze. Tali atti disperati, di solito associati a realtà musulmane, sono stati quindi, in tali casi, messi in atto non da islamici, ma da esponenti di un popolo prevalentemente induista: a riprova del fatto che non sia una specifica religione, di per sé, a causare tali azioni, ma le condizioni di determinati popoli, le cui prospettive si presentano particolarmente drammatiche. Nel 2002 si era arrivati ad un cessate il fuoco tra il governo singalese e la minoranza tamil, in cambio di una maggiore autonomia per quest’ultima, ma le condizioni effettive della convivenza tra le popolazioni dello Sri Lanka non erano cambiate in maniera sostanziale. Nel corso del 2009 era così tornata ad accendersi la guerra per l’indipendenza totale del Tamil Eelam condotta dai guerriglieri tamil, che si è sviluppata su un territorio già gravemente provato dalla mancanza di pace: sono circa 70.000, infatti, le persone uccise nello Sri Lanka dal 1983 a causa del conflitto, appartenenti a diversi gruppi etnici; i profughi tamil, nel Paese, sono almeno 250.000 al momento, mentre, storicamente, si è costituita una importante “diaspora” di tamil all’estero, soprattutto in Germania e in America… anche in Italia non mancano, in particolare in Sicilia. Nel giugno del 2008, per rimanere all’Italia, la Procura di Napoli aveva disposto, inoltre, con l’accusa di terrorismo, l’arresto di diversi militanti tamil delle “Tigri”. Tornando al conflitto di questi ultimi giorni, bisogna considerare che quello che ha portato alla resa dei ribelli non è, naturalmente, un atto scelto in piena libertà, ma la situazione molto triste degli esuli della propria stessa etnia, costretti a lasciare le proprie case di fronte all’offensiva dell’esercito ordinata dal presidente ultra-nazionalista e revanchista Mahinda Rajapaksa. Soprattutto, i guerriglieri hanno chiesto la fine delle ostilità per evitare nuove stragi di civili tamil, 8000 dei quali sono stati uccisi e 12.000 feriti dal riaccendersi della guerra, nel corso di bombardamenti spesso indiscriminati…  A questo proposito, è importante ricordare che gli appelli delle Nazioni Unite affinchè venissero aperti corridoi umanitari, per almeno arginare la carneficina ai danni dei tamil, sono stati ignorati. Inoltre, un sito internet molto vicino alla resistenza delle Tigri Tamil ha pubblicato foto con  corpi di bambini mutilati, cadaveri gli uni sugli altri, donne sventrate e decapitate: si tratta di alcune tra le poche testimonianze di una guerra sporca ai danni della minoranza tamil, prima di allora filtrate soprattutto grazie a varie Organizzazioni Non Governative (ONG) umanitarie. Il presidente dello Sri Lanka, infatti, da tempo si sentiva particolarmente forte per il miglioramento dei suoi rapporti con i governi di Cina, India e Pakistan: a questo proposito, però, il fronte estero si è parzialmente diviso, con Cina e Russia che tendevano a considerare la guerra un fatto interno allo Sri Lanka, mentre il governo indiano non si è limitato a condannare il terrorismo di certe frange tamil, ma ha anche, per gli stessi tamil, rivendicato il diritto “ad una vita degna nel contesto della società dello Sri Lanka”, esprimendo così solidarietà alle indicibili sofferenze dei civili tamil, a proposito di una guerra che poteva essere evitata, e che invece, colpevolmente, non si è impedita. In India, del resto, si sono svolte delle dimostrazioni di protesta contro i bombardamenti sulle popolazioni tamil: in una di queste, a Madras, un giovane è arrivato a darsi fuoco per protesta. Non sono da dimenticare a proposito delle violenze, certamente, le responsabilità negative anche delle sinistre singalese e tamil, le quali non solo non sono state capaci di difendere il diritto dei tamil all’autodeterminazione, ma si sono  assoggettate all’ultra-nazionalismo del presidente Rajapaksa. Tuttavia, delle posizioni nemiche della pace nello Sri Lanka sono stata senz’altro favorite soprattutto, storicamente, dalle posizioni dell’ex presidente americano George W. Bush il quale, quando era capo del governo USA, invece di cercare di mediare con equanimità ed equilibro nel conflitto, inserì unilateralmente l’organizzazione degli indipendentisti tamil tra i gruppi terroristici, considerandola, peraltro, tra i più pericolosi… ciò, nonostante il fatto, naturalmente, che le “Tigri Tamil” non si possano ridurre semplicemente ad un gruppo terroristico. Naturalmente, quello che realmente interessava al governo di Bush jr non era un nobile impegno per la pace nella Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka, ma il demonizzare tout court l’organizzazione di liberazione nazionale tamil perché anti-imperialista. Tale unilateralità (già dimostrata con l’inserimento da parte di Bush del gruppo palestinese Hamas nella stessa “lista nera”, con la medesima non obiettività su quei conflitti) ha certamente favorito la recrudescenza del conflitto che si è recentemente riacceso nello Sri Lanka. Si tratta di uno “strabismo” politico, inoltre, che non si realizza “soltanto” in una non trasparente mediazione tra le parti in guerra in diverse parti del mondo, ma anche, da parte statunitense, nel predicare in un modo e nel razzolare in un altro: da una parte, infatti, Bush jr condannava il terrorismo degli antigovernativi (tralasciando, però, quello della repressione), dall’altra, addirittura, favoriva azioni di sabotaggio contro governi di Stati indipendenti: ad esempio, contro quello di Teheran (in quel caso con la collaborazione israeliana), una volta resosi conto che un attacco ad installazioni nucleari iraniane fosse una “mission impossibile” a causa del territorio da monitorare troppo vasto (ma non certo, dal canto suo, per questioni di principio ed ideali). Si può comprendere, così, ancora meglio, che anche i conflitti che sembrano più locali hanno, in realtà, una portata più vasta, e ci riguardano da vicino non solo per questioni di umanità ed empatia. Nel frattempo, però, sono soprattutto i civili a soffrire, purtroppo, per precise ambizioni dei vari, soliti noti…

 

 

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