Poste, sfascio totale, parola del sociologo Viola.

Dal professore Carmelo R. Viola, bio sociologo e socio ad honorem dell'Associazione nazionale Sociologi, riceviamo un micidiale attacco ai danni delle ridimensionate Poste Italiane sferrato tramite esposto al Tribunale Amministrativo del Lazio ed alla Coirie Costituzionale, indirizzato per conoscenza a:  Presidente della Repubblica; Presidente e vicepresidente del Consiglio dei Ministri; Presidente del Senato; Presidente della Camera; Istituto Nazionale di Statistica; Ministero per i Beni Culturali, Movimento Difesa del Cittadino; European Commission of Human Rights; Conseil de l’Europe;  Coordinamento Nazionale Piccoli Comuni Italiani; Media e Internet, di sguio riportato quasi testualmente: Oggetto: Sistematici abusi postali in combutta con il Ministero delle Comunicazioni con grave pregiudizio del servizio ed anche, con maggiore gravità, della vita e produttività culturale e della crescita civile del Paese. Premesse: 1 -Chi scrive non è un avvocato ma un sociologo da sempre impegnato a trattare, giornalisticamente e con saggi, questioni di giustizia sociale. Questo spiega il mio comportamento ed il mio linguaggio che nulla tolgono -voglio sperare- alla sostanza e all’eventuale validità del mio discorso. 2 – L’identità di un servizio è data dal servizio stesso e non dalla qualificazione burocratica, magari interessata, che viene data allo stesso da uomini del potere pubblico. Esempio: l’assistenza sanitaria dell’infanzia, essendo naturalmente necessaria e inderogabile -cioè indifferibile e generale- è un servizio pubblico per antonomasia (anche se ancora nell’àmbito di un sedicente “Stato di diritto” ci sono infanti che muoiono letteralmente di fame). 3 – Il servizio postale è inderogabile e universale perché risponde ad esigenze indifferibili e di tutti. Pertanto, il servizio postale è un servizio pubblico per antonomasia. Eventuali “complementi” non modificano l’identità del servizio. Una legge del 1936 recita: “I servizi di posta e telecomunicazione sono di competenza esclusiva dello Stato”.  Leggo sul periodico “Politeia” del 2004: “Omertà e silenzio sulla ‘metamorfosi’ delle Poste Italiane” –  Le Poste Italiane non sono più un ente di diritto pubblico, proprietà dello Stato. Sono state trasformate in S.p.A. (Società per Azioni). Esiste l’insegna, ma dietro di essa l’Italia non c’è più. La direzione S,.p.A. è un escamotage dei ricchi per contrabbandare come pubblica una funzione economica privata.  É un invito all’arricchimento, ma la parte del leone spetta sempre ai maggiori azionisti. La metamorfosi delle Poste (…)è come il “furto” di un pezzo di Stato da parte dello strapotere politico, che ignora il cittadino. (…) Le Poste, divenute uno strumento di profitto, cioè di “estorsione” ai danni dei cittadini, hanno (…) triplicato le tariffe. I conti correnti erano gratuiti ed ora sono una “rapina”. Anche le caselle postali erano gratuite. E ora bisogna pagarle. La esecranda fame dell’oro ha indotto i registi di quest’operazione contro la Nazione a divenire perfino istituti bancari e assicuratori. Come ogni S.p.A., anche le Poste oggi rispecchiano la Repubblica Italiana, in mano ad una insignificante minoranza, la borghesia plutocratica, che esclude dal potere ceti medi e proletariato. )…) Dove sono le sinistre? Perché tacciono? (…) Omertà e silenzio imperano dovunque. Viviamo o no nello Stato-tempio dei Sumeri? In una democrazia borghese? (…) Perché non dicono la verità?” (Probabile autore, il prof. Alfredo Cresci, proprietario e direttore della testata). 4 – Un servizio pubblico, appunto perché tale, può essere gestito solo da un ente pubblico per una ragione elementare: perché l’ente pubblico, in quanto tale – salvo sempre possibili casi di corruzione, ovviamente – è interessato solo al servizio stesso. Al contrario, un ente privato, in quanto tale,  è interessato solo ai profitti – sempre con il pretesto di dovere far quadrare i conti e fare prosperare l’azienda – : a tal fine usa l’impresa solo come strumento produttore di lauti interessi.  Affidare un servizio naturalmente pubblico ad un gruppo privato, cioè ad un’impresa affaristica – a padrone unico o plurimo – significa fare dipendere lo svolgimento di tale servizio dagli eventuali buoni successi di uomini di affari, per definizione interessati NON al servizio stesso ma SOLO agli eventuali buoi successi. Non ci vuole molto a comprendere che le esigenze di un servizio pubblico efficiente e profitti privati gratificanti sono in totale contraddizione. Sul n.ro del 20 ottobre 2006 del quotidiano romano “Rinascita”, quando l’Unione Europea, padrona e serva dei diabolici istituti bancari, aveva espresso la volontà di privatizzare il servizio in questione, campeggia un bell’articolo dal titolo: “Il servizio postale pubblico è un pilastro di ogni Stato”. Leggo, tra l’altro: “Il piano per la privatizzazione dei servizi postali è giunto alle ultime e importanti fasi, prima della completa e definitiva liberalizzazione. La Commissione Europea ha infatti preannunciato l’emanazione di una direttiva che realizzerà la completa liberalizzazione delle Poste iniziate nel 1997 con la direttiva n. 97/67/CE. A partire dal 2009 viene per legge eliminato il monopolio di Stato per i servizi postali universali. (…) Viene meno quello che è stato definito il settore riservato, quello che per molto tempo è stato un servizio pubblico perché non solo tratta beni protetti da diritti di riservatezza, inviolabili per le persone e i cittadini ma anche perché deve essere garantito ovunque e per tutti, anche se antieconomico, anche se non esiste il mercato. Ciò spiega perché le assunzioni sono garantite da un sistema di concorsi, il perché della sua diffusione anche in centri rurali di poche anime. Dietro le Poste c’è la storia di uno Stato, quella che è sempre stata la “banca de poveri e degli emigrati”, la cassaforte della corrispondenza, dei dati privati, dei risparmi (…).Le Poste hanno rappresentato (…) l’isola tranquilla del piccolo risparmio, non logorato dalle spese di tenute di conto., il punto di raccolta delle rimesse degli emigrati che hanno tenuta l’Italia quando era prossima al fallimento. (…) Dietro le Poste (…) [c’è]  un secolo della storia d’Italia, di uno Stato e dei suoi cittadini. Il processo di liberalizzazione annunciato dalla Commissione (…) non specifica i confini di quello che deve essere sempre considerato ‘cosa pubblica’ e ciò che invece sarà dato in pasto ai privati. (…) non è da escludere che il completo processo di privatizzazione abbraccerà proprio tutto, (…) la posta è tanto un bene economico quanto sociale. (…) Qual è il prezzo di tutto questo? Ancora una volta è il controllo (…) dell’accesso al credito e all’usura sul denaro, (…) Il meccanismo che sta dietro le privatizzazioni è sempre lo stesso. Innanzitutto quello che prima era concentrato in un unico organismo verrà suddiviso e ripartito fra gli operatori privati, soprattutto esteri, quindi il sistema delle poste verrà frammentato (…). Diverse saranno le politiche delle tariffe, delle spedizioni, ma soprattutto del personale e del credito. [Sarà possibile] chiudere molti dei piccoli uffici che sono antieconomici (…).molti governi saranno contenti, soprattutto quello italiano che ha già parlato di dimissioni delle Poste dalla proprietà del Tesoro (…). La macchina della liberalizzazione, brevettata dal FMI, è già in moto: questi personaggi (…) si sono arrogati il diritto di decidere per la nostra economia (…). Ovunque siano andati per le loro liberalizzazioni hanno fatto il deserto intorno a loro, perché ragionano in termini economici (…). (Fulvia Novellino). 5 – L’Autrice è stata puntuale e lungimirante. Da qualche anno il servizio naturalmente pubblico postale è gestito da un’accozzaglia di azionisti, cioè di uomini di affari, per meglio intenderci di gente che investe mille per trarne millecinquecento e possibilmente sempre molto di più ed è pensabile che siano – oh quanto cristianamente! – l’uno contro gli altri armato.  L’intervento appena riportato nei tratti essenziali trova conferma in un articolo dal titolo ben significativo “Per fortuna c’è Banco Posta”, a firma Andrea Ducci, che di espedienti  mercantile-usurai deve intendersene se appare sul quotidiano “Milano Finanza” del 28 aprile 2007. Dice, tra l’altro: “Meno male che nel 2000 Corrado Passera si è inventato il BancoPosta. Se non fosse per quel progetto avviato sotto la supervisione dell’attuale numero uno di Sanpaolo Intesa, i conti del gruppo postale sarebbero ancora in profondo rosso. (…) Il problema vero di un’azienda che continua a chiamarsi Poste Italiane, resta infatti il core business della corrispondenza.” L’Autore, ovviamente bene informato, non si perita di affermare che proprio BancoPosta ha salvato il gruppo affaristico, senza del quale le Poste “andrebbero a picco anche alla luce della prossima liberalizzazione del mercato postale, attesa per il 2009”.  Lo stesso Autore cita, senza conati di vomito, la eliminazione della posta ordinaria e il suo rimpiazzamento con quella prioritaria. “Una mossa – spiega – sempre senza conati di vomito – che ha fatto crescere i ricavi di quasi 330 milioni di €uro”.Conclude: “A puntellare i conti di Sarmi sono stati ancora una volta conti correnti e servizi finanziari”. (Sfido io: con quanto legalmente predano da ogni conto corrente!). 6 – Se il potere legislativo, con il benestare dell’Europa e di “Bancolandia” (intendi: piovra bancaria mondiale, serva e padrona del capitale) ha privatizzato il servizio postale naturalmente pubblico significa semplicemente che i legislatori del caso non conoscono la scienza sociale e tanto meno quella del diritto. E questo da sé significa che non hanno alcun interesse di conoscere le scienze prime della civiltà. Non sanno che il diritto è una scoperta, non un’invenzione umana. Non sanno che diritto e legge non sono la stessa cosa. Non importa di stabilire regole che garantiscano contro gli errori e gli abusi della legge. Si tratta ancora di gente che, pur fregiandosi della laurea di economia (e di altra cartaccia pseudoculturale), confondono questa con la predonomia – modalità antropomorfa mutuata dalla giungla (dove l’uomo è nato) e non conoscono il valore strumentale-passivo della moneta dello Stato moderno, finalizzata a organizzare il lavoro e a distribuirne i prodotti (beni e servizi) secondo equità e bisogno. É gente che non dovrebbe fare quello che fa perché non ne ha né la competenza né la capacità e, ancor meno, l’animo di chi s’impegna a battersi per il bene di tutti. 7 – Non sanno nemmeno che il servizio postale, per la sua stessa natura non può beneficiare (se così si può dire) della concorrenza, perché è impensabile che ci siano due poste! Esso, per conservare la propria natura, deve restare unica ed essere gestita da un ente pubblico. 8 – Quali le motivazioni della privatizzazione di un servizio naturalmente pubblico quale è quello postale? Principalmente uno: fare quadrare i conti attraverso l’aumento indiscriminato delle tariffe (leggi: depredazione). Tradotto in termini reali significa: meno servizio, più disoccupazione, più disagio sociale ed esistenziale. É quanto sta avvenendo. Il che significa due cose: a) che il sistema capitalista (con l’uso della moneta attiva gestita da “Bancolandia”) non funziona; b) che il capitalismo nella versione liberista-privatista funziona ancora meno. Quindi, la soluzione sta altrove. 9 – A conferma dell’assurdità della motivazione e della mostruosità della pretesa soluzione- più irrazionale della difficoltà da risolvere – sta il fatto che lo Stato (e non solo quello nostro) sta privatizzando tutto ovvero sta affidando tutta la impropriamente detta economia ad avventurieri di affari e di banche, i quali, “ corporati”, localmente e internazionalmente, proprio per quello che sono, sono i meno atti a risolvere problemi pubblici. Costoro sono gli stessi, che, nel mondo, praticano la guerra come strumento di profitti indifferenti ai morti e al danno che arrecano anche alla natura, che, in questi giorni sta minacciando di ridurre l’abitabilità della terra: l’habitat naturale della specie umana.  Non esiste alcuna scienza che possa dimostrare il contrario. Oggi, con una scienza sociale avanzata ed arricchita dal contributo crescente della tecnologia, la motivazione dell’insufficienza o assenza di fondi, è solo una barzelletta dal sapore tribale. 10 – Non ho alcuna intenzione di farlo da maestro, sentendomi sempre un umile alunno dell’esperienza della vita, a dispetto dei miei 78 anni e di una carriera pubblicistico-creativa ultrasessantennale. Pertanto, scontate le premesse, indispensabili alla comprensione dell’intero testo, mi limito ad elencare i crescenti danni che sta arrecando all’intera collettività la gestione privato-azionaria del servizio postale. Se la S.p.A. Poste Italiane ha stravolto tutto il classico servizio postale, in altre parole ha capovolto le finalità di Stato di servizio a favore del popolo, ovvero  di tutti e di ciascuno. Esattamente come se l’assistenza sanitaria, semmai avesse un’estensione universale (!), dovrebbe raggiungere ciascun infante, nessuno escluso.  Ma la conoscenza – o applicazione – della vera economia e della scienza sociale (che comprendono la logica e l’etica) si riduce nella misura in cui s’ingigantisce la tecnologia: è quanto sta avvenendo sotto gli occhi di tutti ma pare che a non accorgersene siano proprio coloro che hanno compiti di servizio pubblico. 11 – La tecnologia potrebbe servire anche al servizio postale ma non in funzione di maggiori profitti e minori costi. La S.p.A. Poste Italiane insiste sui cosiddetti “servizi on line”, cioè a mezzo del computer o di strumenti di tipo bancario comunque relativi all’invio di danaro. Ebbene, non è ragionevole mettere in dubbio la celerità  e semplicità di certe operazioni di ordine finanziario. É invece legittimo affermare che nessuno può imporre a nessuno di possedere un computer e di sapere usare l’internet e tanto meno dotare anziani e sofferenti di vista a servirsi di uno strumento che non è compatibile con il loro stato di salute. Queste e simili operazioni possono solo essere  possibili opzioni accanto alle formalità classiche accessibili alla generalità degli utenti (clienti). In dettaglio: 1 – Al classico servizio postale statale è succeduta un’associazione affaristica di stampo neoliberista finalizzata ai profitti aziendali e personali. É risaputo che gli uomini di affari, da un pinco pallino qualsiasi ad un “pezzo grosso della finanze e della piovra bancaria” tende a diventare un “padreterno” ovvero un cittadino di prima categoria che si dota via via di una villa (magari di una per ogni occasione), di aerei privati e si concede ogni possibile piacere turistico, e non solo,  nel “cortile di casa” detto mondo,  accumulando progressivamente – con la tutela della legge! – quanti più profitti può, cioè ricchezza, che – secondo la logica dello stesso capitalismo – è prodotta dal lavoro, naturalmente di chi lavora effettivamente. 2 – Ha tramutato gli utenti in clienti e i servizi in prodotti introducendo un lessico stomachevolmente mercantile-affaristico. 3 – Ha ridotto il personale. 4 – Ha ridotto gli sportelli, specialmente negli uffici periferici. Qui, locali predisposti per tre sportelli, quasi sempre funzionano con uno sportello unico, che effettua tutte le operazioni. Un secondo sportello (il centrale, per esempio) è chiuso a carattere definitivo ed usato per esporre merce (sic!) dell’azienda postale; il terzo è servito saltuariamente. 5 – Presso i piccoli Comuni, l’unico ufficietto locale funziona, magari con la modalità sopra descritta, tre volte la settimana. 6 – Ricorre facilmente al precariato, cioè al “lavoro a termine” affidando la posta da consegnare a giovani ovviamente privi di esperienza (settoriale) – il che non è una colpa. La colpa, da parte della S.p.A. Poste Italiane è servirsi di elementi senza certezza del futuro e psicologicamente demotivati che perdono via via valore nel (maledetto) “mercato del lavoro”.  Infatti, uno dei requisiti del precario è la giovane età. Forse questa circostanza spiega il non raro smarrimento (scomparsa!) di lettere, naturalmente affrancate come prioritarie! Conseguenze: La prima conseguenza è quella delle lunghe code e delle lunghe attese. Chi deve attendere, magari solo per ritirare una raccomandata,  ha la sensazione di essere un mendicante alla corte di un principe medioevale. Ma al posto di un cavallo, ha un’auto che non trova dove posteggiare. Risiamo nel Medioevo: altro che modernizzazione di un servizio pubblico.  Non si può negare l’ammodernamento degli arredi, ma ciò di cui il pubblico ha bisogno è una funzionalità in tempi più o meno reali. Se il tempo è – come è – danaro (come ripete proprio il capitalismo) la S.p.A. Poste Italiane deruba gli italiani del valore-tempo e non credo che si possa dimostrare il contrario. Le lunghe attese sono un di più che la gestione postale toglie legalmente agli utenti (clienti). Ma se derubare è un crimine, tale resta anche se viene legalizzato. Nella chiusura arbitraria di sportelli, e soprattutto nella chiusura di un ufficio, anche se in tempi intermittenti (come nei piccoli Comuni) si configurano senz’altro gli estremi di sospensione arbitraria di pubblico ufficio. Non mi risulta che la chiusura, sia pure temporanea, di un ufficio pubblico a discrezione dei responsabili non sia un illecito penale. Quando, chiamando in ballo il precariato, si parla di disoccupazione, si dicono  vere idiozie anche dal punto di vista “capitalistico”. Bisogna intendersi sul significato di “occupazione”. Se s’intende “avere un lavoro per le mani” senza riferimento al futuro, è ovvio che l’occupazione del momento possa risultare aumentata rispetto a un dato precedente. Ma sappiamo che, nella vita di un adulto per occupazione s’intende “certezza di lavorare senza interruzione (sia pure in mobilità)” con la certezza di potersi formare un nucleo affettivo e di assicurarsi una pensione.  In mancanza di tale certezza –mancanza che è la caratteristica essenziale della precarietà – il lavoratore non può formarsi un nucleo affettivo né avviarsi ad una vecchiaia con pensione. Al contrario, aumenta la disoccupazione e, in particolare, i giovani meno giovani e quindi meno cercati dal mercato del lavoro ovvero cittadini non abbastanza giovani da trovare lavoro e non abbastanza anziani da avere una pensione. Va aggiunto, per completezza del concetto, che la nuova pensione contributiva, per essere sufficiente, deve essere integrata da una detta appunto “integrativa” e che l precario, appunto perché tale, non può contrarre. Pertanto, la S.p.A. è causa di aumento di disoccupazione e di disagio sociale con quanto questo può significare al livello pcicomentale. 7 – La S.p.A. Poste Italiane ha abolito il vecchio postagiro, “fiore all’occhiello” delle Poste di Stato. Esso consentiva a qualunque correntista di rimettere danaro a qualsiasi altro correntista, privato o pubblico, compilando un modulo speciale o segnando il proprio numero di correntista su un modulo di un ente creditore, inserire il tutto dentro una busta speciale e imbucare questa in una qualsiasi buca del territorio nazionale. I moduli erano gratis. Oggi il vecchio correntista deve recarsi presso un ufficio postale e per ritirare danaro dal proprio conto può farlo solo presso l’ufficio di emissione, mentre prima lo si poteva fare almeno anche presso un ufficio speciale della posta della Provincia. Conseguenze: Ancora una causa di aumento dell’affollamento agli sportelli, quindi, delle code, delle lunghe attese e di depredazione legale del valore-tempo, riferendoci ovviamente non al tempo ragionevole per fare un’operazione postale ma ad un tempo irragionevolmente eccessivo rispetto all’operazione. Questo significa che presso un ufficio postale possano recarsi o disoccupati o anziani (magari ammalati) o casalinghe  o gente  che, pur essendo occupata deve chiedere permessi speciali, salvo a delegare  il proprio eventuale partner (disoccupato, s’intende) distogliendolo dai compiti già abbastanza onerosi dello stesso. 8 –  La S.p.A. Poste Italiane ha abolito il conto corrente gratuito. Come ho già detto nelle premesse, il conto  corrente postale serviva un grande stuolo di piccoli operatori, risparmiatori, emigrati, amministratori domestici o per pagare le bollette nel modo detto o per le spese dell’attività culturale privata (acquisto di materiale, abbonamenti e così via). La S.p.A. Poste Italiane si appropria di €uro 1,50 per i primi sessanta accrediti annui, indipendentemente dall’importo degli stessi.. Un €uro viene estorto all’entrata, un mezzo all’atto del rendiconto. Questo mezzo rimane in ogni caso. Per meglio intenderci, se un correntista riceve 60 accrediti annui, perde quasi 180 mila delle vecchie lire! Non c’è alcun rapporto tra quantità e tassazione (che qualcuno chiama “pizzo”). Quindi se, per caso un tale mi deve due €uro e, invece di mandarmi francobolli preferisce farmi un assegno, paga un €uro allo sportello e a me, destinatario, invece di 2 €uro me ne arriva solo un mezzo! Un tale mi doveva 5 €uro: ne ho ricevuto di fatto 3 e ½ ! Qualcuno potrebbe parlare di contabilità truffaldina, ma dimentica che si tratta di contabilità legale! La gratuità del conto corrente postale era basata sul “principio della reciproca compensazione”, principio che non è compatibile con un rapporto predatorio (o predonomico). Ha dunque ragione Andrea Ducci di Milano Finanza” quando dice “Per fortuna c’è BancoPosta”. 9 – La S.p.A. Poste Italiane ha abolito la gratuità della casella postale, anche questa basata sul principio della reciproca compensazione, dato che il “casellista” – che di norma riceve una quantità notevole di posta,  riduceva il volume della posta da distribuire andando personalmente a ritirare la propria.  Oggi – risum teneatis, amici! – la casella viene data in locazione annua attraverso un vero e proprio contratto. Con questa innovazione la S.p.A. ha toccato lo zenith del ridicolo! Ma ciò poco importa quando il filo conduttore è il profitto. 10 – La S.p.A. Poste Italiane ha unificato le tariffe dei pacchi postali. Per meglio intenderci, chi spedisce un pacchetto di un kg. paga quanto quello che ne spedisce uno da venti! Meno selezione, meno lavoro, costi più bassi. Tutto è bene studiato secondo la peggiore possibile logica del più selvaggio dei capitalismi. L’unificazione tariffaria non sarebbe la fine del mondo se i valori di riferimento fossero i medi. Ma con il sistema vigente il gruppo padronale-azionista prende più di quanto dà. 11 – La S.p.A. Poste Italiane ha eliminato la classica cartolina postale, strumento poco costoso e molto utile per le comunicazioni brevi. Anche qui meno lavoro, meno costi, più profitti. 12 – La S.p.A. Poste Italiane ha equiparato la tariffa della cartolina illustrata a quella della lettera aumentando non di poco i profitti. 13 – La S.p.A. Poste Italiane ha abolito l’espresso: uno strumento che aveva anzitutto un valore psicologico in quanto veniva recapitato da un apposito fattorino con servizio diretto. Anche qui meno lavoro selettivo, meno personale, meno costi, più profitti. Tutto per il bene … del Paese. Ma il bello – anzi, il diabolico!- deve ancora venire: 14 – La S.p.A. Poste Italiane ha inventato la lettera pseudo-prioritaria dimostrando che la tecnologia, quando c’è la volontà e la diligenza degli addetti, può rendere più celere forse il più vecchio servizio postale.  La maggiore rapidità della lettera sarebbe stato un punto positivo – nell’alchimia affaristico-postale – se non si fosse trattato della premessa per un provvedimento coattivo e –secondo alcuni – truffaldino. Infatti: 15 –  La S.p.A. Poste Italiane ha fatto finta di abolire la lettera ordinaria , costringendo gli utenti (clienti) ad affrancarla come prioritaria. Il risultato – evidente anche ad un bambino normale – è che la lettera ordinaria non è stata abolita ma ha solo aumentato le tariffe di circa il 33 %. Per meglio intenderci una lettera del peso non superiore ai 20 gr. che si poteva spedire con sole 800 delle veccie lire, oggi di vecchie lire ce ne vogliono 1200. Insomma, da €uro 0,45 è passato ad €uro 0,60! Per questo la classica lettera ordinaria non è stata abolita ma è stata trasformata, con una specie di prestidigitazione teatrale, in pseudo-prioritaria. É ovvio che non esistendo più la lettera ordinaria, ordinaria è quella detta prioritaria senza alcuna garanzia di effettiva celerità e perfino di recapito (come i fatti hanno già dimostrato). Eppoi, se la lingua non è un’opinione al pari della matematica, prioritario significa “che viene prima di un’altra cosa”. Se la lettera ordinaria, non esiste più, prima di che cosa arriva la lettera prioritaria? E non è tutto: se esistono due possibili velocità di consegna delle lettere, perché essere costretti ad accettare quella più veloce e quindi più cara, quando non si ha fretta? Si va di male in peggio… 16 – La S.p.A. Poste Italiane – naturalmente con il benestare (ir) responsabile del potere legislativo nostrano, – ormai al servizio feudale di quello europeo –  ha fatto quanto non potrebbe fare nemmeno il papa quando “ex cathedra” preanuncia un nuovo dogma! Ha abolito un’entità reale e precisamente le stampe per i privati. Il fatto è inaudito, perché un’entità reale non può essere dichiarata inesistente. Il risultato è che, per spedire un libro –magari di cui si è autori – o un foglio stampato qualsiasi, lo si può fare solo affrancandolo come corrispondenza prioritaria. Non si tratta solo di un provvedimento naturalmente illegittimo (insomma, incompatibile con il concetto di diritto) ma anche moralmente illecito né solo di una doppia imposizione di forza ma di un danno culturale dalle dimensioni incalcolabili perché il tessuto culturale di un Paese non è solo la grande editoria giornalistica e libraria ma anche – talora soprattutto – l’attività sommersa di un largo stuolo di studiosi e di artisti, che si scambiano, oltre alla corrispondenza,  anche i prodotti del proprio ingegno (per modesto che sia). Nessuno che abbia una giusta cognizione del diritto naturale e della logica, può non considerare quanto meno  bioeticamente gratuito il dovere spedire un giornale o un ritaglio dello stesso, insomma, un qualsiasi stampato, come corrispondenza prioritaria, ben sapendo che non di corrispondenza prioritaria si tratta ma di uno specifico genere postale. Si noti che la circolazione delle stampe è la materia prima o lo strumento primo della libera attività culturale (base del liberalesimo e padre del socialismo). Delle due l’una: o la S.p.A. Poste Italiane è “legittimata” (sic!) a fare ciò che vuole – il che sarebbe contrario ad ogni norma di diritto e di convivenza civile – o è tenuta a rispettare limiti e leggi. Come sociologo mi limito a tirare delle conclusioni in linea con la scienza sociale, ovvero con la mia versione personale, che  la “biologia del sociale”. La motivazione, che giustificherebbe il comportamento  oggettivamente arbitrario e contrario ad ogni logica, della S.p.A. Poste Italiane  ha il valore che avrebbe la vendita di acqua bollita al posto di pane fresco. Riassumo. La S.pA. Poste Italiane: 1 – ha creato una nuova banca stravolgendo, la funzione a tutti nota, del vecchio conto corrente postale; 2 – ha abolito la gratuità del conto corrente postale; 3 – ha gravato il conto corrente postale di tasse così esose da avere il sapore della rapina; 4 – ha abolito il vecchio postagiro ovvero le comodità di servizio che erano connesse allo stesso; 5 – ha abolito la cartolina postale; 6 – ha abolito il servizio dell’espresso; 7 – ha fatto finta di abolire la lettera ordinaria al solo scopo di aumentarne le tariffe; 8 – ha unificato le tariffe dei pacchi; 9 – ha abolito i manoscritti; 10 – ha abolito le stampe per i privati; 11 – ha unificato le tariffe per lettere, manoscritti, cartoline illustrate e stampe private a quelle della (finta) lettera prioritaria; 12 – ha abolita la gratuità della casella postale; 13 – ha ridotto il personale e gli sportelli; 14 – ha incrementato il precariato; 15 – sospende a propria discrezione un servizio pubblico, chiudendo, definitivamente o secondo un programma nel tempo, degli uffici preposti al servizio stesso specie nei piccoli Comuni; 16 – ha aumentato le code e il tempo di attesa degli utenti (clienti) e il loro disagio, derubandoli liberamente del valore-tempo; 17 – sta arrecando un danno incalcolabile alla vita culturale del Paese; 18 – sta ingrossando i costi con spreco di carta (documenti burocratici e pieghevoli pubblicitari) al solo scopo di dare un’immagine meno selvaggia dell’azienda di fatto finalizzata solo ai profitti e totalmente indifferente alle vere esigenze della collettività. Un esempio vissuto: come correntista sin dal 1956 posso testimoniare uno spreco enorme di carta per tale servizio: mentre una volta per una o più operazione veniva spedito all’interessato un poco più di mezzo foglio poco più pesante della carta velina con il rendiconto della situazione attuale, oggi, anche per un solo accredito, arrivano al correntista, oltre ad una busta speciale, ben quattro fogli formato A/4 credo di gr. 80 e senza l’indicazione della situazione attuale di cassa, rimandata ovviamente al rendiconto mensile. 19 – sempre ai fini dei profitti ha creato perfino una specie di vendita per corrispondenza di articoli vari dando al servizio la perfetta immagine del mercato propriamente detto. Per quanto detto fin qui, mi sento autorizzato a pensare che la S.p.A. Poste Italiane: 1 – vuole impressionarmi come le fa più comodo per meglio sfruttare la mia posizione di “avente bisogno del servizio postale”; 2 –  mi costringe ad affrancare come lettera prioritaria una serie di effetti postali già elencati (che NON sono lettere); 3 – ha abolito una serie di effetti postali, a partire dalla normale e vecchissima lettera ordinaria fino alle stampe del privato, in maniera del tutto illegittima, costringendomi a spedire il tutto – come detto nel punto 2) – come lettera prioritaria, il che oggettivamente è un abuso di mercato dell’utente (cliente); 4 – mi depreda impunemente del mio tempo, che è un bene-valore secondo la stessa logica del capitalismo, a proprio esclusivo beneficio; 5 –  ha abolito la gratuità del servizio dei conti correnti postali facendone oggetto di particolare speculazione di mercato (come spiegato più sopra); 6 – mi ha privato del comodissimo classico postagiro, aumentando il mio disagio come utente (cliente) per le ragioni esposte più sopra; 7 – mi impone tariffe esose (altro titolo di speculazione di mercato) per la spedizione di piccoli pacchi (talvolta così piccoli da poterli-doverli spedire solo come lettera prioritaria, spendendo ancora di più); 8 –  danneggia enormemente la libera attività culturale-artistico-creativa del cittadino, che costituisce la cultura reale portante della civiltà di un Paese ovvero di costituire un fattore di deterioramento civile della specie umana; 9 – afferma, sommando l’insieme delle speculazioni di mercato, ciascuno dei quali costituisce una causa di disagio civile, soprattutto della stragrande maggioranza degli utenti (clienti) costretti a sbrigarsi da sé le varie incombenze postali, che la  stessa (S.p.A.  Poste Italiane) è responsabile di danno esistenziale a carico di milioni di cittadini “aventi bisogno-diritto del servizio postale”; 10 – si comporta in totale contrapposizione, oltre che con il diritto naturale e la logica, anche con le norme di tutela del cittadino previste dalla Costituzione. In specie: – con l’art. 2 che “garantisce i diritti inalienabili dell’uomo”, che comprendono certamente anche quello di comunicare, diritti che gli abusi della S.p.A: Poste Italiane rendono non solo molto difficili da realizzare, ma, in ogni caso, molto costosi riducendone enormemente la legittima fruizione; – con l’art. 3 che recita che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge” e inoltre che “É compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non solo, non si può essere uguali davanti alla legge quando ci si distingue in indigenti, poveri, benestanti e straricchi ma meno che mai si può partecipare effettivamente al progresso del Paese quando le enormi spese postali sono di innegabile ostacolo all’attività culturale, intesa nel senso globale del termine, quando, per meglio intenderci, per spedire un plico di stampa per fini culturali ad un collega o ad un uomo di potere per informare,  sapere, chiedere e denunciare, bisogna ricorrere coattivamente alle tariffe della lettera prioritaria, esattamente come sarò costretto a fare con questa comunicazione. – con l’art. 4 che tutela la possibilità di  “scegliere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale”: com’è possibile scegliere l’attività culturale se ci si trova fuori della grande editoria, spesso più vicina al potere che al popolo, e davanti agli ingenti spese postali? – con l’art. 9 che “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” Diventa una barzelletta macabra se, da un lato si promuove la cultura e, dall’altro, se ne rende l’esplicitazione una spesa perfino proibitiva. Una vera contraddizione se  si pensa che per spedire un testo, manoscritto o digitato, per un giudizio o un’integrazione, bisogna ricorrere alle tariffe della lettera prioritaria!. Sta di fatto che la S.p.A. Poste Italiane soffoca la cultura reale, che è fatta anzitutto di scambio di carte, costringendo gli autori a spese esorbitanti al solo scopo di distribuire, senza alcun fine di lucro, i prodotti della propria creatività culturale. – con – e questo è la circostanza peggiore – il famoso art. 21 della Costituzione che tutela il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. Ora, mezzo di diffusione per antonomasia o per eccellenza è appunto lo scritto quale che sia, di cui solo una minima parte trova spazio nell’editoria professionale, giornalistica e libraria, esercitata più per motivi di lavoro che di cultura. Sta di fatto che la maggior parte degli scritti circola nell’àmbito dei numerosissimi collaboratori culturali, che cercano interlocutori, critici, collaboratori e, ove possibile, editori. Ebbene – reperita iuvant! – qualunque scritto, da una cartella ad un malloppo di fogli, quindi anche molto pesanti, possono circolare solo come corrispondenza, per giunta forzatamente-formalmente prioritaria. Ho pubblicato diversi articoli su questo tema: nessuno, che io sappia, ha contestato le mie affermazioni. Ma la cosa più grave è che le diverse lettere, anche e soprattutto cordiali (un poco meno l’ultima, e a ragione), indirizzate al signor Ministro delle Comunicazioni, sono rimaste senza riscontro. Sarebbe stato logico che Carmelo R. Viola, cittadino italiano ma anche sociologo di quasi 80 anni, con una carriera ininterrotta, dedicata al bene comune, senza mai alcun fine di lucro, pagando, quando necessario di persona (mi riferisco alle enormi e crescenti spese vive), fondatore di una nuova corrente di pensiero, si aspettasse una parola di risposta non solo per diritto democratico ma soprattutto per dovere civile e  culturale. La mancata risposta del Ministro competente, il quale fa finta di ignorare il danno crescente che la S.p.A. Poste Italiane sta infliggendo all’Italia, mentre si preoccupa della maschera civile e della quadratura dei conti di imprese ad altissimo coefficiente affaristico (come Alitalia e Telecom), è ennesima prova del degrado progressivo della civiltà per effetto della patologia del liberismo globale, quasi un dogma della religione – la peggiore – del profitto di mercato. Tale follia, tutta espressione della monetocrazia universale, ci ha portato al punto in cui la piovra bancaria mondiale (ma questo è solo un inciso occasionale) si arroga l diritto di dire ai singoli paesi – diciamo, all’Italia – come vanno rifatte/ridotte/immiserite/ridicolizzate, perfino le pensioni, insomma come anche il diritto ad una vecchiaia dignitosa, come  risposta ad un contributo parimenti dignitoso dato al consorzio civile, non sia più nemmeno un diritto, ma una questione di mercato e, al limite, una concessione. Io non ho chiesto e non chiedo la luna nel pozzo né mi sono limitato ad occuparmi dei miei soli interessi culturali. Io mi auguro che gli Enti in indirizzo, intervengano nei limiti delle proprie competenze,in difesa del bene comune e nel solo interesse del cosiddetto “popolo sovrano”., costretto di fatto a fare la vittima e ad esercitare la puerile, quanto inutile, arte del “mugugno”. L’eventuale necessità della “quadratura dei conti” – fatte salve le posizioni di privilegio e talora “paradisiache” comunque acquisite dagli affaristi di vetta, anche se “perdenti” come impresa, non ci suggerisce affatto che l’unico problema sia quello di affidare un servizio naturalmente pubblico ad un gruppo di prestidigitatori delle famose “tre carte”,in cui si esaurisce la loro cultura e che offendono ogni volta che tirano in ballo il bene del Paese! Evidentemente – ma io non intendo insistere sui parametri della vera economia (quella corrente è sfacciata predonomia) – la difficoltà di far quadrare i conti, ovvero di rendere compatibili gli interessi personali con quelli sociali all’interno del sistema di affarismo di mercato , ci suggerisce che il cosiddetto liberismo globale non funziona come prima non funzionava il capitalismo locale: lo stesso fenomeno avviene nel campo della salute, se è vero che l’incidenza delle spese sanitarie è direttamente proporzionale alla povertà degli interessati sempre a tutto danno della compagine demografica e civile. Si consideri anche questo un inciso occasionale. Non è questa un’opinione ad effetto, ma un dato di fatto. Tuttavia, non posso non affermare quanto segue: che se il liberismo globale soffoca la cultura e quindi la libertà dell’uomo in quanto entità etica, vuol dire appunto che è il sistema che non ci vuole in quanto antibiologico o, se si preferisce, antibioetico. La S.p.A. Poste Italiane è forse un caso unico di impresa affaristica i cui attori si sentano investiti della facoltà di “fare come loro conviene”. A quanto denunciato vorrei aggiungere due cose non indifferenti: – Abbiamo detto che gli sportelli esplicano le operazioni più diverse. Più precisamente più piccolo è l’ufficio postale più numeroso è il numero delle categorie di operazioni e di funzioni cui debbano sopperire gli sportelli : possibilmente l’unico esistente o attivo!  Ebbene, tra queste funzioni sovrapposte c’è quella, normalissima dell’acquisto di francobolli di uso immediato. Il che significa che anche per l’acquisto di un francobollo bisogna aspettare magari un’ora e più! Il ridicolo è ormai un motivo di onore! Rimandare l’acquirente di francobolli per uso immediato dai tabaccai è, a sua volta, un non senso per una serie di motivi: a) la scelta del punto-vendita dei francobolli è, a sua volta, una delle possibili opzioni dell’acquirente, che ha le sue buone ragioni: l’ufficio postale vende anche dei francobolli e sarebbe strano se non li vendesse. La scelta può dipendere anche dalla possibilità di posteggiare l’auto o dalla contemporaneità con altre operazioni; b) i turisti possono non conoscere i tabaccai del luogo, e, imbattutisi in un ufficio postale, sono contenti di potere affrancare le loro cartoline illustrate di saluti o le loro lettere: meno che mai si può dire ai turisti o a gente forestiera di andare a cercarsi i tabaccai; c) i tabaccai vendono solo i tagli più comuni. Tutti i tagli si trovano (quasi sempre!) solo presso gli uffici postali; d) i tabaccai non rare volte sono essi stessi sforniti anche dei francobolli dei tagli più comuni e più richiesti. É notorio che i tabaccai vendono a malincuore i francobolli e che non esiste un vero e proprio sistematico controllo a tal proposito. – La S.p.A. Poste Italiane aveva perfino preteso la irresponsabilità circa il recapito dei telegrammi. Solo la Corte Costituzionale ha ovviato a quest’ennesimo arbitrio con sentenza n. 254 del giugno del 2002. Ritengo opportuno chiudere con il seguente pezzo documentativo: Tariffe postali: pluralismo in pericolo. Il decreto n. 294 del 2002 e le successive interpretazioni di Poste Italiane che, d’accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno ulteriormente ristretto il numero dei destinatari delle agevolazioni postali, mettono a grave rischio la sopravvivenza di centinaia di testate dell’editoria media e minore, della stampa di informazione sociale e dell’editoria specializzata. Le agevolazioni postali, applicate da tempo immemorabile, hanno consentito in particolare ai piccoli e medi editori di distribuire le testate a prezzi sopportabili e, seppur con gravi disservizi di Poste Italiane, di trovare una concreta alternativa al canale edicole. Ora un incredibile decreto del Presidente del Consiglio dei ministri esclude dalle agevolazioni postali proprio la stampa che avrebbe più bisogno di essere sostenuta dall’intervento pubblico, rischiando di decimare un settore che ha sempre garantito il pluralismo in Italia, assolvendo ad una fondamentale funzione informativa. Naturalmente queste esclusioni toccano la stampa debole, mentre i grandi giornali conservano le agevolazioni, pur incidendo nel bilancio dello Stato in misura assai maggiore. Ecco, quindi, che le esclusioni toccano una grande parte del mondo associativo, i periodici del settore b2b, i periodici che non raggiungono il 60% di abbonamenti a titolo oneroso stipulati direttamente dai destinatari [senza possibilità neanche di sponsorizzazioni] e i periodici degli enti pubblici. Centinaia e centinaia di testate saranno costrette a chiudere e a licenziare dipendenti e collaboratori con grave danno anche sotto il profilo occupazionale. La spiegazione fornita dal Governo su un provvedimento tanto grave sta nella necessità di contrazione della spesa pubblica. Sembra evidente a tutti, soprattutto se si considera l’entità modesta del risparmio conseguente al decreto 294, che una tale necessità non può giustificare provvedimenti che mettono in pericolo tante testate e tanti editori. Il Governo ha l’obbligo, se veramente vuole essere garante della tutela del pluralismo e della democrazia informativa, di abrogare il decreto sulle esclusioni e di riammettere tutte le testate alle agevolazioni postali. Diversamente, non potremo che prendere atto di una pervicace volontà di distruggere interi settori della stampa italiana e trarne le dovute conseguenze”. (Francesco Saverio Vetere dell’Unione Stampa Periodici Italiani – dal Notiziario C.D.P. n° 184). Dal documento appena riportato si evincono diverse circostanze notevoli: 1 – che la questione è tutt’altro che personale; 2 – che i comportamenti sociali dei Governi rispettivamente del Centro-Destra e del Centro-Sinistra, a questo proposito, si equivalgono (a comprova che l’uno e l’altro sono ispirati al liberismo globale); 3 – che la protesta di un Ente specificamente rappresentativo, a distanza di cinque anni, è rimasto, come inesistente; 4 – che la sordità di un potere pubblico davanti a chi chiede e propone in nome di una e più categorie ma, in realtà, dell’intera collettività, dà la misura di una dittatura di fatto di stampo neoliberista (detta, in termini di barzelletta, “democrazia dell’alternanza”), le cui  inderogabili linee direttive sono i parametri del sistema stesso; 5 – che la ripetuta “necessità della contrazione della spesa pubblica” come giustificazione (“legittimazione”!) di provvedimenti “illegittimi”, conferma la totale ignoranza dell’economia (eufemismo di “predonomia”) e della scienza sociale  – nell’àmbito del potere pubblico – oltre che il sistematico “vilipendio” degli articoli “nobili” della nostra Costituzione, quelli, appunto, che tutelano l’attività della cultura come crescita civile della specie; 6 – che l’asse professione parlamentare/affarismo postale conferma il rischio che sta correndo non questo o quel settore ma l’intera impalcatura del consorzio umano. Spero che la Corte Costituzionale e il TAR del Lazio, noti per loro interventi a favore della giustizia sociale, prendano nella dovuta considerazione questa DENUNCIA documentata – oltre che sofferta da un vecchio sociologo con un curriculum ininterrottamente e specificamente produttivo  [contributo reale all’evoluzione della specie]. Spero parimenti che tutti gli Enti e i Soggetti  destinatari facciano la loro parte per risolvere un problema che investe tutti indistintamente. Spero, infine, che i Destinatari vorranno gradire i saluti cordiali di uno che si avvicina all’altro capo della parabola esistenziale, e che quindi si appresta a lasciare questo mondo per il cui bene ancora si batte. Carmelo R. Viola *biosociologo (socio ad honorem ANS – Associazione Nazionale Sociologi – Roma).

Condividi questo articolo qui:
Stampa questo post Stampa questo post