Intervista a Franco Falco sul tema: “Come dare voce al disagio?”

In un momento di grande clamore sui malesseri e gli eccessi dei giovani, abbiamo chiesto a Franco Falco, presidente dell’Associazione Dea Sport Onlus di Bellona (Caserta), quali sono i punti di forza o di debolezza di una Città?
”La Pira affermava: “La città è il luogo dove ciascuno ha una casa per amare, una scuola per pensare, un'officina per lavorare, un ospedale per guarire, una chiesa per pregare e i giardini perché i bambini possano giocare e respirare.” Piacerebbe a tutti avere una città che realizzi queste attese. Prendendo ad esempio la nostra città, Bellona, che ha la grande fortuna di avere una posizione strategica e un territorio estremamente interessante collocato tra le montagne che le fanno da corona, la  campagna, i ruscelli ed il fiume Volturno. Elementi importanti per la vita: aria ed acqua. Purtroppo a fronte delle opportunità, non corrisponde, come ci si aspetterebbe, uno sviluppo armonico e generalizzato. Assistiamo infatti, in maniera paradossale, a tutta una serie di ritardi e inadempienze che si ripercuotono sulla quotidianità dei cittadini. Basti pensare al tasso di disoccupazione che supera il 20%; alla presenza diffusa del lavoro sommerso; all'assoluta assenza di strutture che privilegiano un approccio formativo per l'inserimento lavorativo dei giovani; all'assoluta assenza di tutti quegli spazi aggregativi, artistici, culturali e sportivi nei quali incrementare la socializzazione e lo scambio tra giovani. C'è, poi, una città normale, quella dei cittadini a pieno titolo, che posseggono un titolo di studio e, spesso, un doppio stipendio con cui possono raddoppiare tutto: dalla macchina all'abitazione; conoscono il personaggio chiave a cui rivolgersi, e la loro fonte di paura è rappresentata dal delinquente, dal drogato, dall'extracomunitario. C'è poi un'altra città: quella della piccola delinquenza, della dispersione scolastica, della nuova o più ampia tossicodipendenza, della disgregazione familiare e della disoccupazione o sottoccupazione, del degrado ambientale,  dell'assenza dei servizi, dello sfratto e della strada. Il sommerso delle situazioni difficili si sta ormai diradando. Sotto i nostri occhi, quotidianamente, sono evidenti i segni del malessere, tossicodipendenza, disagio familiare, alcolismo, nomadismo, disagio mentale, minori abbandonati e/o maltrattati, gli anziani poco sostenuti, ragazze madri e immigrati sono parte integrante del nostro vivere quotidiano, anche se, molto spesso facciamo finta di non vederli. Aumenta la povertà. E' fondamentale, nell'approccio ai problemi sociali, svincolarsi da una solidarietà che assomiglia alla beneficenza e non va alla radice dei problemi e dei bisogni, evitando la strumentalizzazione della sofferenza e della fatica delle persone fragili. La solidarietà fatta sotto i riflettori è ambigua. La gente chiede dei servizi che non subiscano la mortificazione di un eccesso di burocrazia, la rigidità di sistemi che rischiano di allontanare le persone. I servizi pubblici, ma anche alcune organizzazioni del privato sociale, troppe volte come orari, esigenze, spazi, impostazioni, sono più a servizio degli operatori che non dei destinatari. Credo, continua Franco Falco, che occorra rispondere ai bisogni della gente con servizi e modalità flessibili, con realtà nuove. Solo così sarà possibile incontrare realtà sommerse, invisibili, ma cariche di sofferenza, sarà possibile incontrare storie pesanti che non trovano ascolto ed aiuto perché mancano modalità adeguate per accoglierle. Occorre lavorare investendo nella politica della prevenzione e prevedendo un collegamento sempre più forte tra le strutture del territorio, per rilanciare la vita di relazione, la cultura dell'educazione, dell'integrazione pubblico/privato in cui tutti svolgono un servizio con pari dignità, per dare inizio ad interventi sperimentali, per attuare sul territorio una rete familiare e sociale. E poi, il coraggio di dare speranza sempre. Attenti: non è solo emarginato chi è schiacciato dai suoi problemi, ma anche chi vive assediato dalle false sicurezze, fra le quattro mura della propria abitazione. Ogni giorno ascoltiamo lamentele di giovani che chiedono una città vivibile, e il grado di vivibilità di una città non lo si misura solo dall'aria pulita, dal traffico o dai giardini, per quanto importanti, ma lo si misura soprattutto dalla capacità delle relazioni umane e delle relazioni sociali. La relazione, l'ascolto, la comunicazione, spesso rischiamo di perderla. Abbiamo bisogno di giustizia e di sicurezza sociale. E in quella sicurezza sociale ci sono le politiche giovanili, costruite però insieme, non a tavolino da qualcuno; politiche sociali che vedono protagonisti i nostri ragazzi, perché essi hanno la capacità, la creatività, la competenza, rispetto ai problemi che li riguardano. Inoltre non dobbiamo leggere i problemi dei giovani partendo dal nostro punto di vista, dalle nostre sicurezze, dalla nostra maturità, dalla nostra esperienza. Dobbiamo leggerli tenendo conto che oggi il giovane si trova in un contesto più fragile e ha bisogno di trovare dei riferimenti coerenti e credibili, ha bisogno di trovare degli adulti veri. Quella sicurezza che comincia in casa e che deve proseguire nella scuola, recuperando innanzitutto la grammatica della vita oltre a quella italiana. I nostri giovani sono meravigliosi. Basti pensare che quasi tutti cercano di “arrangiarsi” con lavori nelle tante pizzeria della Città. Ma non vanno convinti, vanno coinvolti. Bisogna abitare insieme la città, il territorio, rendendolo un luogo di esperienza e di comunicazione tra giovani e adulti. L’Associazione Dea Sport ha tentato con tutti i mezzi, e continuerà a tentare, di coinvolgere sempre i giovani in programmi di aggregazioni ma nulla può per la soluzione della disoccupazione. Purtroppo assistiamo ai giovani che sono costretti ad emigrare perché non trovano un'adeguata collocazione lavorativa, che contribuisce ad accentuare notevolmente le situazioni di disagio: il distacco, la disgregazione familiare, e soprattutto la perdita delle risorse umane che rappresenta la base fondamentale per la crescita e lo sviluppo di un territorio. Sono convinto che se questa città vuole andare avanti e frequentare il futuro deve avere il coraggio di investire nei giovani. Bisogna essere più attenti ai loro bisogni e non solo ai loro problemi. Sono una grande risorsa, ma a chi fanno riferimento? Occorre rendersi conto che molti disagi giovanili, sono dovuti alla mancanza di interventi e di attenzioni. Circoscrizioni, famiglie, parrocchie, scuole, associazioni: sono tutte opportunità e risorse socializzanti e risocializzanti, formative e informative, educative e responsabilizzanti. E' questo il percorso che non allontana i giovani, che non diffida di loro, che sa accogliere anche il loro disagio e le loro difficoltà, ma senza etichettare. Un percorso che li valorizza e li avvicina all'impegno sociale, che poi significa protagonismo rispetto ai problemi e ai bisogni che ognuno vive. Si ha l’obbligo di amare la Città. Un particolare obbligo è di chi l’amministra. Non pretendiamo la bacchetta magica ma gli amministratori dovrebbero amare la Città- Amministrare significa conoscere la città, avere il coraggio di ascoltare i bisogni di chi ci vive, conoscere i problemi e progettare insieme ai cittadini. Vivere con la gente, da cittadini, la vita della città e mettersi al "servizio". Costruire asili, innalzare scuole, sistemare piazze e strade, illuminare ogni angolo più remoto. Sottoscrivere un progetto di espansione urbanistica, gratifica sicuramente di più che disegnare la mappa del disagio. Ricostruire l'uomo vale infinitamente di più che costruirgli la casa. Arginare i guasti di tanta disoccupazione giovanile, non con palliativi demagogici e superficiali, ma con investimenti seri di tempo più che di soldi, di cervelli più che di espedienti, di passione più che di calcolo. Si ha bisogno di persone che aiutino a capire che quanto più una società è capace di sviluppare il senso del servizio, tanto più ne guadagna in civiltà e progresso. E dico ciò perché penso che, utopisticamente, politica vuol dire rendere più civile e vivibile la città. E perché la città sia di tutti, non si può più stare alla finestra a guardare, occorre ricercare l'impegno, mettersi in gioco, ciascuno per le proprie competenze e possibilità, nel tentativo di restituire la politica alla gente e non agli “affaristi”

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