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“Tu che m’hai preso il cuor” – Lettere di Bellonesi al proprio paese – Raccolte e curate dal dott. Giovanni Giudicianni

IL SINDACO
Sono da sempre convinto che un’Amministrazione pubblica che si rispetti debba non solo risolvere i problemi concreti del vivere quotidiano dei cittadini, ma anche promuovere e sostenere forti momenti di cultura che convoglino l’attenzione della gente, ed in particolare dei giovani, verso i valori pi? veri e profondi della Comunit? che si e stati chiamati ad amministrare.
Le lettere scritte da cittadini bellonesi al proprio paese, raccolte e curate da Giovanni Giudicianni, rappresentano senza dubbio uno di tali momenti. I sentimenti dei nostri concittadini, filtrati dalla lontananza e dal trascorrere del tempo, distanti dalle passioni che la vita di ogni giorno alimenta, ci offrono l’esatta misura di “come” e di “quanto ” venga percepito all’esterno il nostro paese e aiutano coloro che in questo risiedono a meglio individuare la propria storia e le proprie tradizioni; in definitiva, la propria identit? culturale.
Le lettere, inoltre, con la loro carica di umanit?, mi convincono – pi? di quanto gi? non lo fossi – che ogni processo decisionale che un pubblico amministratore venga chiamato a gestire deve in ogni caso collocarsi in una dimensione fortemente rispettosa degli affetti, dei valori e dei sentimenti dei cittadini amministrati. Per il prezioso insegnamento the proviene dalle loro lettere, esprimo ai nostri concittadini, the per libera scelta o per necessit? risiedono altrove, un grazie dal profondo del cuore. Un vivo ringraziamento rivolgo altres? a Giovanni Giudicianni, figlio della nostra terra, cultore dei valori pi? elevati di solidariet? e di vicinanza al paese nativo. A lui si deve la raccolta delle lettere dei Bellonesi. A questa iniziativa io spero che potranno seguire in futuro tante altre di eguale spessore socio-culturale. Infine, un ringraziamento va rivolto al Comitato Festeggiamenti in onore di S. Maria di Gerusalemme, che ha voluto predisporre la pi? degna cornice musicale per la cerimonia della presentazione delle lettere dei Bellonesi alla propria citt?.
Bellona, 4 aprile 1999 GIUSEPPE PEZZULO

PREFAZIONE
L’idea mi ? venuta quasi per caso, come spesso avviene in simili circostanze. Lo scorso anno, durante le festivit? patronali, incontrai a Bellona una elegante ed amabile signora, compagna di giochi delta mia fanciullezza. La sapevo a Milano da tanti anni, lei the nella giovinezza aveva avuto un momento di rottura con it suo paese. Mi parlo a lungo delta sua vita, dei suoi problemi, del suo rapporto con Bellona: un rapporto singolare e travagliato, fatto di grandi amarezze, ma anche di delicati momenti d’amore. Ad un tratto, senza che se l’aspettasse, le chiesi: “Perch? non provi a scrivere una lettera a Bellona, dove potresti riportare tutti i sentimenti che avverti per il tuo paese?” . Mi rispose con uno sguardo incredulo e poi, riavutasi dall’iniziale imbarazzo, in due parole licenzi? la mia proposta definendola banale. E tuttavia, due giorni dopo, con mia grande sorpresa, mi fece recapitare la sua lettera. Quando lessi le sue parole, che trasudavano di affetti cosi semplici e veri, mi balen? l’idea di chiedere la stessa lettera ad altri Bellonesi non residenti, che in quel periodo erano presenti in gran numero in paese.E la risposta fu di totale adesione.
Cos? sono nate le lettere dei Bellonesi al proprio paese. La sensibilit? del Sindaco Giuseppe Pezzulo ne ha poi consentito la stampa. Il titolo che le raccoglie – che si richiama ad una commedia di Lehar da cui e nata poi una celebre canzone degli anni Trenta – non ha bisogno di commentL In ognuna delle lettere ho trovato una umanit? nascosta e, tuttavia, quasi desiderosa di essere riscoperta; un attaccamento alle proprie origini, per certi versi non immaginabile in chi da decenni si era gi? felicemente integrato in altre comunit?; un amore per il proprio paese che, pur velato talvolta da note di amarezza, ne esce in ogni caso prorompente e senza riserve. Ma vi ho trovato anche uno stimolo alla riflessione diretto a tutti quelli che vivono a Bellona, perch? esprimano in ogni momento della loro quotidianit? il meglio di quel patrimonio di affetti, di vicinanza e di solidariet? che, fuori dal loro paese, rende facilmente riconoscibili i Bellonesi.Un grazie particolare va all’arch. Giuseppe Caputo per le illustrazioni grafiche riportate nel testo.
Bellona, 4 aprile 1999 Giovanni Giudicianni

ANTONIO BORRELLI.
Residente a Napoli
Professore incaricato di ostetricia e ginecologia presso la seconda Universit? di Napoli.
Napoli 04.12.1998
Mia cara Bellona,
mi hai accolto 53 anni fa, piccolo caro paese, e da te ho trascorso i primi 15 anni della mia vita, gli anni belli dell’infanzia e dell’adolescenza, gli anni della spensieratezza, dei giochi, delle illusioni, dei sentimenti forti e genuini. Ripensando a quegli anni, mi tornano in mente i volti di tanti amici con i quali giocavo nel giardino e nell’ampio cortile della mia casa e con i quali polemizzavo, talora aspramente, ma mai con cattiveria.
Sono legati a quel periodo sensazioni, odori, sapori forse perduti per sempre nelle grandi citt?. Mi riferisco al senso di pace assoluta che provavo in talune sere estive di plenilunio, al profumo della campagna in primavera, al sapore del latte appena munto. Erano gli anni in cui noi ragazzi sognavamo ad occhi aperti. Ci illudevamo di poter cambiare la vita e di essere pi? forti delle avversit?. Qualcosa, tuttavia, riuscimmo a realizzare; mi riferisco a quella squadretta di calcio che con la determinazione di taluni e l’aiuto di tanti riuscimmo a mettere insieme. Ricordo quella indimenticabile partita con la lega giovanile di Capua (ci pareva di aver incontrato i campioni del mondo!) che, sebbene persa, fu giocata da noi Bellonesi con grande vigore e bravura. Ricordo le feste patronali, le gite sul convento con i miei genitori, le prime simpatie da adolescente… e tante, tante persone oneste, rispettose e lavoratrici, i volti , i sorrisi di tanti amici di quei tempi, alcuni dei quali non sono ahime! pi? tra noi.
Per tutti questi motivi, nonostante la mia lunga assenza, resto molto legato a te, mia cara Bellona, dove sono le mie radici e dove mi rimprovero di tornare di rado. Ma quando ci? avviene, per me ? sempre motivo di grande piacere e di immensa gioia.
A tutti i Bellonesi auguro le migliori fortune.
Con tanto affetto
Antonio Borrelli

MICHELE CARUSO, residente a Melrose (U.S.A.)
Ristoratore
Bellona. 10 maggio 1998
Mia cara Bellona,
quanti ricordi. quanti pensieri della mia infanzia tornano a me. Oggi. 10 moggio 1998, festa delta mamma, ? stato un giorno triste per me. Partii per una terra lontana e non la rividi pi?. Ma oggi ? stato il giorno del nostro incontro, ed ho pianto per questa festa della mamma. Sempre ti penso, cara Bellona, e mai ti lascer?. Ti spiego. Ricordo 1’infanzia quando le lucciole ci facevano da candele e le candele ci davano la luce nelle case. Era il 1936 quando andai a iscrivermi a scuola, con i compagni che ora non ci sono pi?, perch? quasi tutti sono morti. Gli anni passavano nella miseria e nella guerra. A solo diciotto anni mi arruolai in polizia. Poi ti lasciai, cara Bellona, per recarmi alla fortuna. Andai nella lontana America ed il mio pensiero era rivolto sempre a te. Cos? non ho mai trascurato nessun anno senza vederti. Sono tornato trentasei volte perch? quando la Pasqua si avvicina, la nostalgia e l’amore per il mio paese non mi fanno restare per rivedere i miei fratelli, gli amici, le mie abitudini nel passato, di quando ero bambino a Bellona.Tutti per me sono grandi ricordi: la scuola, il mio passato da ragazzo, quando con gruppi di giovani di quindici anni di et? si andava a mietere il grano. Con la trebbia erano tutte giornate misere ma felici e piene di amore. La campagna ed i campi di grano davano a quell’epoca quell’aiuto di lavoro.
Perci?, cara Bellona, sei grande. Mio paesello, ti lasciai piccolo e pieno di amore come un presepio, con tanti ricordi dell’infanzia e ora che vengo ogni anno, ti trovo cambiato. Come? Ti vedo grande, spaventoso, presuntuoso e pieno di chiasso. Ma non ? quel chiasso nostro di un tempo, quel chiasso che per me e per noi un cerchio rappresentava un giocattolo; una passeggiata nei campi dopo la vendemmia era pi? che un amore. Ora sei mostruosa e frastuonata con questi motori che fumano come le grandi fabbriche. Dove sta la mia cara Bellona? Dov’e finita? Chiss?, mia cara, quando ancora ti potr? vedere. Ma anche se sei diventata mostruosa e tanto prepotente, non esiter? dal venirti a trovare ogni anno, fin quando posso.Quanti ricordi! Nichisella, Madonna degli Angeli, il Convento, Triflisco. Quanti posti mi ritornano in mente! Ora, miei cari posti, vi penso ma non mi posso avvicinare. Siete stati tutti recintati e siete diventati posti di altri, non so di chi. Ma certamente non siete pi? posti del mio paesello.Ma tu, cara Bellona, quando torno, mi fai tornare un piccolo giovanotto, come se avessi quindici anni. Grazie, Bellona! Grazie mio caro paesello! Fra giorni ti lascio e torner? nella lontana America. Ma tu aspettami e dammi sempre un posto; un posto pure a me, anche se sono emigrante e non ti appartengo pi?. Sei sempre nel mio cuore e sempre ti penso. Spero che un giorno, quando sar?, saprai accogliermi e dare un posto anche a me.Ti penso sempre, paesello mio, e ti voglio tanto bene. Arrivederci, mia cara Bellona. Tuo affezionatissimo
Michele Caruso

Raimondo Cutillo,
Residente ad Alessandria.

Alessandria, 04 maggio 1998.
BELLONA: Mio paese natale, ovvero un duello-duetto a sfondo tipicamente oratorio-familiare. Premessa necessaria: quanto andr? a dire vuole essere, senza presumere, un racconto-dibattito di sapore squisitamente umoristico, impregnato di tanti momenti umanamente importanti e suggestivi, lasciando ampia libert? di giudizio o interpretazione .
B: bella, buona, benigna, briosa come una cenerentola
dagli occhi azzurri, come il mare.
E: elegiaca, per i tuoi verdi prati e le dolci colline,
fonte inesauribile di tristezza e melanconia
(nostalgia?), per chi, e siamo in tanti, ? stato
costretto ad allontanarsi da te.
L: latrice di calorosi e ineffabili messaggi esistenziali,
preziosamente accolti e raccolti e, sovente,
imperdonabilmente lasciati (marcire?) nel dimenticatoio.
L: leggiadra, perch? sei avvolta, come un manto dorato e
luccicante, in uno stupendo paesaggio, ricco di naturale
bellezza (anche se in povert?) un’oasi, in ogni caso,
tranquilla e serena.
0: onnipotente e onnipresente nel cuore dei tuoi adorati
figli, fieri di essere nati nel tuo esclusivo e vecchio
feudo.
N: Nap?a. Mi piacerebbe, o mia cara Bellona, trasformarti
da dea romana della guerra nella accattivante ninfa
(greca) Nap?a,regina indiscussa dei prati,delle valli
e delle selve, portatrice di pace eterna nei cuori
afflitti e sofferenti.
A: amorevolmente e voluttuosamente adagiata alle falde
di aride montagnole, dalle quali volentieri si volge lo
sguardo verso una pianura fertilissima erigogliosa, serbatoio vitale per soddisfare i bisogni elementari dei tuoi sudditi.
Ci? detto, mi sento ora imbrogliato tra il desiderio e l?impossibilit? di esternare (non da picconatore, beninteso) quanto alberga dentro di me. Ecco ho fatto questa scelta, dopo una rigorosa selezione, tenuto altres? conto delle immense difficolt? a tirare fuori quei sentimenti di cui, a torto o a ragione, siamo profondamente gelosi. Devo subito fare questa confessione: in et? giovanile si era creato tra noi un rapporto di odio-amore. Ero irrequieto, ero stato investito tremendamente da un dissidio interno impetuoso e vulcanico che coinvolgeva , direi tragicamente, il mio futuro ; dissidio nato evidentemente da una guerra insorta implacabile tra la ragione e il cuore. Che fare? Decisione rapidissima , istintiva e perentoria ( in seguito ho imparato a contare fino a dieci, come suol dirsi in gergo comune): partire, andare via da quel paese che?..! Cos? intrapresi il ?cammino della speranza?, con l?ormai mitica e, forse, provvidenziale ?valigia di cartone?e con qualche liretta (svalutata!) in tasca. Inizi? cos? la mia vita lavorativa. E cominciai anche e soprattutto a pensare a te, mia cara Bellona, silenziosamente in attesa di nuovi eventi favorevoli. Eri il mio rifugio prediletto e preferito allorquando le vicende della vita mi concedevano momenti di riposo e di meditazione. Il cammino era lungo e faticoso. Il futuro sempre incerto e nebuloso per arrivare ad un traguardo dignitoso che mi rendessi l?esistenza pi? ?vivibile?. In quei momenti di ansie e prospettive mi tuffavo nel piacere di sognare ad occhi aperti. E quale era il mio sogno (mirato)?. Questo: di essere a Bellona, seduto a contemplare, in un posto a me tutto caro, in attesa spasmodica, un evento, da visione paradisiaca, che si sarebbe presentato dopo una bufera di pioggia e vento: l?arcobaleno. Sensazioni straordinarie ad altissima densit? emotive che mi procuravano un inebriante piacere e voglia di vivere. E i tanti ricordi, temporaneamente congelati anzi ibernati, esplodevano turbinosamente invadendo la mia mente, scatenando un felice ritorno al passato. Le corse sfrenate e spericolate, a piedi nudi, attraverso gli aridi campi (a riposo) alla ricerca di tante cose indefinibili che a poco a poco si concretizzavano. E capivo allora che si trattava di una affannosa corsa alla conquista della libert?, rimasta prigioniera in ognuno di noi per motivi coatti e non dipendenti dalla volont?. Volevamo che l’atavica e pesante rassegnazione fosse bandita per sempre; volevamo che i mezzi per quei bisogni vitali, necessari per una esistenza pi? degna e civile, venissero riconosciuti e concessi a tutti. E scoprimmo anche, bench? in ritardo, il prezioso tesoro contenuto nella “cultura contadina”. Da essa abbiamo appreso tanti insegnamenti che hanno inciso fortemente sul modo di essere dei cittadini. La saggezza, in primo luogo, dei nostri antenati; la famiglia considerata come la prima delle societ? civili; il dovere di non ledere i diritti altrui; l’onest?, l’umilt?, la modestia, la solidariet?, l’amicizia, che ? sacra.
So che hai dei dubbi, cara Bellona, circa la mia solida affermazione di essere bellonese al cento per cento. Non me l’aspettavo una cosa del genere da te. Un tranello, la voglia di una prova? Bene, sono stato oltremodo fortunato perch? ho avuto un aiuto inaspettato e sorprendente dalla ?fantascienza stellare?. Proprio cosi! Lo dimostrer?. Sono stato contattato da un “essere dell’infinito”, cos? si ? qualificato, attraverso questo straordinario e stupefacente procedimento. Sono rimasto allibito! Ha usato un linguaggio, a suo dire, universale reso accessibile a noi terrestri mediante sofisticate e avveniristiche apparecchiature. Sic!
“Sono un essere dell’infinito e quale messaggero delegato devo informarti che siamo a conoscenza del gradito duelloduetto (oratorio familiare) con Bellona. Poich? siamo in possesso di strumenti tecnologicamente avanzatissimi, ignoti al vostro mondo, ci siamo felicemente permessi di intervenire e di eseguire l’esame riguardante il tuo luogo di nascita. Ci siamo servito del DNA corrispondente alla materia in questione (abbiamo una infinita gamma di DNA per qualsiasi ricerca in ogni campo). Ecco i risultati del referto: sei nato a Bellona – contrada S. Lorenzo – masseria denominata “raimmunnella”. Non servono gli altri dati perch? non sono in discussione.
Quindi si pu? concludere, senza alcuna eccezione, dicendo che sei un Bellonese D.O.C. – Ti vedo perplesso e meravigliato. Posso spiegarti il nostro inconsueto (per te) metodo di lavoro. Ci siamo messi direttamente in contatto con il tuo “pensiero” the pilotiamo a nostro piacimento. Il pensiero ? pi? veloce delta luce ed il contatto, che soltanto noi possiamo predisporre, avviene istantaneamente e contestualmente, anche se siamo lontani milioni di anni (per curiosit? tua: in questo momento mi trovo in uno dei noti e famosi “buchi neri”). Sento che vuoi aggiungere qualcosa the a noi, stranamente, sfugge. Ti ascolto. Ricevuto. E devo dire the sei stato bravo, perch? sei stato capace (udite, udite!) di colpire il nostro “tallone di Achille”. Ho gi? aggiunto alla sigla D.O.C. quella “G” che mancava e che sta, giustamente, a significare “garantito”. Immediatamente completato e corretto il referto: D.O.C.G. -Denominazione di origine controllata e garantita. Per questo contributo fornitoci, il nostro Consiglio Generale si ? velocemente riunito e altrettanto velocemente ha solennemente stabilito quanto segue. In virt? dei suoi poteri stellari, ha deciso, con procedura d’urgenza, un gemellaggio, peraltro gi? concretizzatosi, con il vostro villaggio (Bellona). Si onora, poi, di concedere alla vostra Bellona, per la prima volta nella storia, la nostra “medaglia celestiale”, targata appositamente ANOLLEB, coniata con materia a voi ignota, con l’indicazione su di essa di un solo e significativo numero “54”: opera esclusiva del Re dei re. Mai, medaglia fu cos? gradita! Preciso che non si tratta di telepatia (e ancora aleatoria), come avevi immaginato, ma di un procedimento surrealistico riservato solo ed esclusivamente a noi ?esseri
del cielo o dell?infinito?, messaggeri di bene e felicit?. Interessante il vostro duello a distanza che ha avuto il merito di suggellare la fine di suggellare la fine di un rapporto critico e l?inizio di una ?sudditanza? accettata e tesaurizzata. Passo e chiudo. Devo doverosamente innalzare lo sguardo verso il monte Rageto, da dove la nostra Assistente Speciale, la Madre di tutte le madri, vigila su di noi, indicandoci la giusta strada per una sempre migliore esistenza.
Posso dire sommessamente: “Je ne suis pas hereux, je suis tr?s content” (non sono felice, sono molto contento). Dalla terra alla terra andata e ritorno.
Amo firmarmi cosi:
Raimu

LUIGI DI NARDO
residente a Carlino (Udine) Insegnante

Carlino, 15 marzo 1999

Cara Bellona,
sono trascorsi tanti anni dal 20 gennaio 1956, quando ti ho lasciato. Non ? stato per colpa mia ma, come si dice, per esigenze di lavoro, per cercare una sistemazione altrove, poich? tu non avevi la possibilit? di darla ne a me, ne ad altri delta mia generazione.
Tuttavia, in tutto questo lungo tempo non ti ho mai dimenticato e le mie visite, anche se sporadiche, lo dimostrano.
Non ho dimenticato le tue strade strette, le mura che mostrano la loro vetust?, gli archi all’entrata dei cortili, segni dell’antica signorilit? dei palazzi. Tutto ci? ha avuto ed ha una voce, un profondo significato per me, come pure ogni angolo, ogni vicolo, e poi la torre dell’orologio, la Chiesa madre, il monumento-ossario dei 54 Martiri. Ricordo che, da ragazzo, ho assistito alla rimozione delle salme delle persone fucilate dai tedeschi il 7 ottobre 1943. Fu uno spettacolo molto triste anche perch? le conoscevo quasi tutte.
Alcuni anni dopo, invitato dal Comitato pro Erigendo Monumento, tu, Bellona, hai avuto la visita del filosofo Benedetto Croce; sue sono le parole scolpite sulla lapide del monumento.
Per il paese ? stato un grande avvenimento; manifesti multicolori erano dappertutto con le scritte: W Benedetto Croce! Benvenuto Benedetto Croce! Accompagnava, il filosofo e faceva gli onori di casa il prof. Antonio Vinciguerra.
Cara Bellona, durante la mia infanzia non avevi neanche la scuola materna; alcuni di noi andavamo da “zia Leonilde”, con l’inseparabile “baschetta” the conteneva il nostro pranzo.
Le scuole elementari erano ubicate in via Regina Elena; alcuni insegnanti arrivavano da Capua, altri da Vitulazio. Per noi scolari erano tutte persone importanti, specialmente di sabato, durante il saggio ginnico ed altre frequenti manifestazioni, poich? indossavano la divisa.
Anche noi avevamo la nostra divisa, diversa secondo l’eta ed il sesso. Ognuno di not era figlio delta lupa, o balilla, oppure avanguardista o piccola italiana.
E si cantava, eccome si cantava! Giovinezza, Faccetta nera, la sagra di Giarabub, tutte canzoni ispirate alle “conquiste” militari della Libia, dell’Albania, dell’Etiopia ed alla fondazione dell’Impero dell’Africa Orientate Italiana.
C’era anche la refezione scolastica per i bambini poveri; Brava era la cuoca, la signora Lauretta, mamma dell’ins. Gigino Ragozzino.
It bidello, uno solo per tutte le scuole, era il papa di Salvatore Di Monaco, capo o ex capo dei bidelli.
I mezzi di trasporto erano rari . Per recarsi alla scuola media di Capua, prima the entrasse in funzione la prima corriera, delta la “cristalliera”, del sig. Scialdone di Vitulazio, andavamo su un “black”, the era un carro, coperto con un telo; poteva trasportare una decina di persone ed era trainato da un cavallo, guidato dal sig. Michele Altieri di Vitulazio, che portava, o porta ancora, gazzose e bibite varie alle famiglie di Bellona.
Nell’ambito della festa principale, ricordo la sera del luned?! in albis. Un signore distinto, colto, impiegato comunale, Don Gennaro Di Lillo, in chiesa, sull’altare, leggeva l’elenco delle offerte pervenute dai Bellonesi sparsi net mondo. Ogni anno ascoltavo quella voce, che rappresentava un ponte tra tutti i Bellonesi residenti ed emigrati. Il carro delta Madonna, durante la processione del martedi in albis. era “guidato” dal sig. Luigi Giudicianni; scamiciato. sudato, sempre attento ad ogni movimento, non aveva bisogno del “campanello”; era la sua voce the dava gti ordini alla squadra degli “accollatori”.
Mi sembra ora di sentirla: sotto! Avanti! Alt! A terra!
Tutto questo per tutta la giornata; la voce, prima chiara, diventava con il passar delle ore rauca. Personaggio di momenti gioiosi che resta nella memoria di quanti to hanno conosciuto.
Sempre nella giornata di marted? in Albis, i fratelli Venoso: Mario, Michele, Antonio erano i Re di via 54 Martiri. Li ricordo attenti e affaccendati, con le scope in mano, affinch? la “battena”, che durava oltre la mezz’ora, non si spezzasse. Alla fine della giornata ci aspettavano i “trac” nella piazza principale; erano alti e solenni e noi ragazzi, in attesa che li facessero sparare, li osservavamo con stupore e timore.
Delle bande musicali Gioia del Colle era considerata la migliore.
Cara Bellona, sono trascorsi ormai pi? di 43 anni da quando ci siamo lasciati, ma tu sei sempre stata net mio cuore e quando ti rivedo, ogni volta the ritorno, e come fare un tuffo nel passato, nell’infanzia beata, quando, nonostante tutto, eravamo FELICI.
Luigi Di Nardo

GIUSEPPE GRAZIANO, residente a Milano
Dirigente d’azienda
Milano, 10 giugno 1998
Cara Bellona,
anche se sono trentasette anni che ti ho lasciato per trasferirmi qui a Milano, non posso nasconderti che il tuo ricordo suscita sempre in me affetto e riconoscenza. Qui ho trovato tutto: amore, famiglia, lavoro. Mi sono completato culturalmente e socialmente e il mio status attuale e certamente di buon livello; sono un dirigente industriale di un’importante azienda privata. Ho moglie e tre figli, due dei quali gi? pienamente inseriti, il terzo ancora giovane studente delle medie. Tutto ci? mi rende una persona realizzata e felice; grazie al cielo, quindi, non ho assolutamente nulla da ridire su questa terra che mi ha dato ospitalit? sin dal 1961; anzi, nutro per essa sincera riconoscenza e una stima profonda.
Tu Bellona, per?, mi hai dato i natali, la fanciullezza, la prima giovinezza, le prime emozioni, le basi culturali e, quel che ? pi? importante, l’impronta dell’uomo sano del sud: carattere, spirito di sacrificio e ingegno, tutte doti sulle quali, con la mano di Dio, ho potuto costruire il mio successo.
Quanti dolci ricordi ho di te Penso alla tragedia di Santa Filomena che veniva rappresentata ogni anno all’inizio dell’autunno. La tenerezza delta storia… l’immenso pubblico che partecipava.. il fascino dei costumi… tutto mi inebriava e sognavo di diventare anch’io uno degli attori. Un bel giorno il barbiere Antonio Di Monaco, regista e organizzatore, mi convoc? e mi propose una parte nella tragedia. Il sogno sconfinava nella realt?! Ancora oggi mi commuovo e quando vengo a trovarti, Bellona, tra i tanti amici che incontro, ce n’e uno in particolare, il calzolaio e musicista Michele Caputo, che riesce a riportarmi magicamente indietro con gli anni. Non si ? dimenticato alcuni miei passaggi recitati e non manca mai di declamarli ogni qualvolta mi veda!
E se ripenso alla meravigliosa festa patronale, alla processione di Ns. Maria SS. di Gerusalemme, la banda, il concerto canoro… ti confesso che ho ancora i brividi: ricordi indelebili sono scolpiti nella mia mente.
Grazie, mio dolce paese, che mi accogli con amore tutte le volte che vengo a farti visita e a ritrovare i miei cari viventi e chi non c’e, ahim?!, pi?. Che bello riassaporare il gusto del profumo dell’aria natia!
Sinceramente soffro anche un po’ perch? noto che stenti a decollare. L’urbanistica, i servizi sociali, 1’ordine e la sicurezza non fanno significativi passi in avanti. Perch? i tuoi figli giovani non si impegnano un po’ di pi? a darti quella fisionomia e funzionalit? the ti competono? Farebbero felici loro stessi, tutto il popolo e noi figli the viviamo lontano da te, ma che col cuore siamo sempre con te!!
Peppino Graziano

Calino Liguori
Residente a Prezzano sul Naviglio (MI)
Impiegato.
Prezzano sul Naviglio 29.04.98

Cara Bellona,
tra la nebbia, il sole e la neve di queste Alpi ti tengo stretta al cuore, ormai da tanti anni. Mi ricordo bimbo, giovanotto spensierato ed ora, segnato dal tempo, ti osservo: tu immune dalla vecchiaia, raccogli fra le braccia la vita di tutti noi. Mia cara ?ladra di pensieri? quanti attimi ti ho donato da quass?, quanti sogni di poter tornare ho calpestato! Quante lacrime per averti salutato! Ma ? la vita. La vita porta a questo: lasciare ci? che si ama, rischiare, soffrire. Tu per? non demordi e, forte della tua pazienza, attendi quest?esule ogni anno al rintocco delle campane che annunciano la Festa, quando arriva il tuo momento. Ti illumini, allora, dei colori pi? belli, ascolti le dolci sinfonie delle bande ed osservi il passare lento della processione di uomini che per te, fedeli, pregano. Madre di una tradizione, compagna di giovinezza, stringi al tuo seno i miei ricordi, cosicch? nulla possa cancellarti. Culla con dolcezza la mia anima che da quel d? ti ho affidato e un giorno torner? a riprenderla per rimanere l?, fermo al tuo fianco. A te cara mia terra.
Calino Liguori.

SECONDINO MARRA,
residente a Milano
Medico

Milano, 5 maggio 1998
Cara Bellona,
piccolo paese ai piedi delle colline, circondato dal verde degli ulivi e delle vigne, sei la parte pi? bella delta mia vita. Profumo di fiori d’arancio dall’Aprile at Giugno che respiravo a pieni polmoni con la pioggia primaverile. Odore acre delle ulive proveniente dai numerosi frantoi dove da fine Ottobre a Febbraio, nei giorni pi?, freddi, si andava a godere il calore delle fornaci piene di pignatte di fagioli, cena frugale che la povera gente che andava a lavorare nei campi affidava at Priore (capo-operaio) per la cottura e l’aggiunta di acqua. Atmosfere prenatalizie con esalazioni di frittura di zeppole ed altri dolci provenienti da tutte le case. Processione del Venerd? santo con coreografie simili a quelle che i turisti vanno ad osservare in Andalusia. Pasqua con la cicoria, verdura volgare che cresce sui marciapiedi, cotta in un brodo ricchissimo di carni. Marted? in albis: festa delta Madonna di Gerusalemme con un folclore indescrivibile assai originate che, dopo la guerra, ebbe l’onore di un film-luce. Botti, fuochi d’artificio, musiche di bande venute da lontano, scampanio continuo a festa della campana grande che ancora risuonava nelle orecchie i giorni successivi, alla ripresa delta scuoIa. Gita primaverile al Santuario sulla collina con familiari, parenti ed amici con a tavola tovaglie e tovaglioli di pizzo ed ogni ben di Dio che nulla aveva da invidiare a quella descritta dal Gattopardo durante il viaggio a Donnafugata. Le domeniche: ragazze fuori casa per la messa vestite a festa che rispondevano at saluto dei coetanei con uno sguardo complice ed un sorriso. Contadini vestiti di fustagno nero con sotto la camicia bianca senza cravatta che sui calessi, quasi in processione, rientravano dopo la messa nelle loro masserie. Quanta dignit? nei loro visi Maggio: Vespri Mariani, unica uscita delle ragazze nei giorni feriali di tutto l’anno. Giardini, terrazze, logge piene di rose che sembravano fiorite per vegetazione spontanea. Riti antichi quasi millenari come la rappresentazione della tragedia di Santa Filomena con costumi, scene e copione conservati da secoli. Con quanta cura giovani e vecchi del paese s’improvvisavano attori per rappresentarla! Racconti nelle serate invernali davanti al camino di personaggi tipici come Mastro Alessio che all’inizio del secolo, sul mezzod?, pedalando per la prima volta sulla prima bicicletta a ruota fissa arrivata in paese, alla moglie affacciata ad ammirarlo al balcone gridava di non “buttare la pasta” che non sapeva come e quando poteva fermarsi. Mondo di solidariet?, aiuto reciproco, amore tra le famiglie che si stringevano tra loro di fronte alla malattia ed alla morte in epoca in cui t’Ospedale era Ente di carit?. Tutto ci? sei per me caro piccolo paese quando ti raggiungo nei brevi ma frequenti soggiorni.
Certo l’amicizia, il calore affettuoso dei tuoi cittadini ? rimasto intatto. Lo sento la domenica quando all’uscita della messa mi trattengo con i miei coetanei e con i figli di quelli, che furono i miei amici. Per me che vivo a Milano e sempre una cosa meravigliosa essere fermato per strada dalla gente che quasi cinquant’anni orsono curai con l’entusiasmo e la dedizione di giovane medico non ancora ventiquattrenne. Quanti progressi da allora! I figli dei tuoi contadini, della povera gente hanno studiato, hanno fatto sacrifici sconosciuti ai nati nelle metropoli, hanno conseguito posizioni importanti in tutti i paesi del mondo ed anch’essi come me, tornando ogni tanto, rispondono al tuo richiamo. Il martirio dei tuoi 54 cittadini trucidati il 7 ottobre 1943 dall’invasore tedesco ? noto in Italia. Il monumento che li ricorda e l’epitaffio che chi scrive con i suoi amici and? a chiedere a Benedetto Croce rimarr? nei secoli. Il ricordo ed il culto di coloro che non sono pi? meraviglioso e lo dimostrano i fiori e le lampade dei due tuoi cimiteri.
E’ bello tutto ci? ma i profumi di una volta si sentono sempre meno. I giardini ed i terreni ubertosi pieni di alberi che ti circondavano si riducono ogni giorno di pit. I calessi sui quali viaggiavano personaggi autentici sono sostituiti dalle auto con uomini e donne the vestono tutti ‘firmato”. Tante auto nelle tue strette vie rendono pressocch? impossibile la vita al viandante ed oscurano il suono delle tue campane.
Purtroppo, come tutti gli altri paesi del mondo, non sei riuscita ad evitare la globalizzazione, ma non per questo ? mutato l’amore che sempre mi ha legato a te.
Secondino Marra

GIUSEPPE NARDONE, residente a Francoforte (Germania)
Impiegato
Francoforte,18 ottobre 1998
Mia cara Bellona,
sono partito il 23 aprile 1955 per una vita che tu non potevi offrirmi: una vita dignitosa, di lavoratore rispettato. Ho avuto il piacere d’incontrare all’estero tanti paesani e tutti abbiamo parlato di te con orgoglio e, nello stesso tempo, con grande nostalgia.
Ricordo un particolare: una sera ero seduto davanti ad un bar, sulla “promenade” di Cannes con il carissimo amico Michele Sapone e mio cugino Vito Rossi. Per un istante mi assentai mentalmente dalla bellezza del luogo e mi raccolsi in un atteggiamento pensoso. Allora Michele mi disse: “Vuoi scommettere che indovino a che cosa stai pensando?” Ed io di rimando: “Sto pensando alla stessa cosa a cui stai pensando tu, e cio? alla nostra cara Bellona”.
Ogni volta che vengo, rimango sempre pi? deluso per lo stato di abbandono in cui ti trovo, mio caro paese. Non vado oltre perch? la delusione ? tanta, ma sono fiducioso che un giorno, prima o poi, dovr? ricredermi.
Peppino

ANGELINA REGA, residente a S. Giuliano Milanese (MI)
Impiegata
S. Giuliano Milanese, 16 aprile 1998

Ciao Bellona,
come stai? Sicuramente ti chiederai chi io sia. Ebbene sono Angela una delle tue tante piccole particelle che tempo fa ha dovuto con grande dolore lasciarti.
Quest’anno sono ritornata da te anche se per pochi giorni e durante la mia permanenza, un mio carissimo amico (che sicuramente nutre per te un grande amore) mi ha fatto una domanda che al momento sembrava alquanto retorica, ma che ha suscitato in me un miscuglio di sentimenti nei tuoi confronti che probabilmente ho sempre provato ma mai analizzato. La domanda era: “cosa provi per Bellona?”.
Cosa provo? Ti dispiace se ti dico cosa provavo? Devi sapere che quando ti ho lasciata, per me ancora giovane ? stata dura dover affrontare ritmi ed abitudini che erano l’esatto contrario di quelli a cui ero abituata.
Proiettata per? in quella nuova realt? di gente operosa, organizzata ma soprattutto priva di pregiudizi, sempre pi? mi allontanavo da te, quasi da pensarti come ad una prigione, ad un paese classista che codificava le persone a secondo dell’appartenenza, ad un paese pigro che niente avrebbe “voluto” o potuto darmi. Insomma, non mi piacevi e questo mi ha tenuto per anni lontano da te.
Poi la maturit?, le radici che comunque riaffiorano ma, soprattutto, il mio primo ritorno, ti hanno rivalutata.
Cosa provo ora? E’ molto piacevole potertelo dire. I miei
sentimenti sono amore, nostalgia e un grande orgoglio di appartenenza.
Amore per come sei, per come riesci comunque a riportarci a te, per la tua struttura, con quelle montagne che ti incorniciano e che procurano un senso di serenit?, amore per gli odori e i tuoi colori forti.
Nostalgia, per averti lasciata, per i miei ricordi, per i miei amici e, perch? no, anche per i miei primi approcci amorosi.
Orgoglio, e tanto, per l’operosit? della tua gente, vicina e lontana che ha saputo creare e crearsi un lavoro in un paese in cui la disoccupazione imperava.
So che questa mia lettera e un po’ banale, ma non importa. L’importante ? l’essermi riconciliata con te.
Ti voglio bene.
Angela Rega

ANTONIO ROSSI, residente a Caserta
Magistrato
Bellona, Marted? in albis 1998
“Amor mi mosse, che mi fa parlare”: Bellona ? un nome risonante per i suoi generati, fieri della loro appartenenza perch? credenti fedeisti nella superiorit? del luogo. Questi sentimenti si manifestano nella loro imponenza in chi, per motivi superiori alla propria volont?, risiede altrove, ma considera la sua casa quella del paese nat?o e specifica, quella diversa, con la localit? di residenza.
La nostalgia di chi vive altrove e attenuata dalla trasposizione immaginaria quivi del luogo nat?o nella sua conformazione naturale e negli usi e costumi dei suoi abitanti.
In ogni casa di Bellonese non residente e presente l’immagine protettiva della nostra Madonna. Quella figura maestosa e materna, che riassume la grazia e la bellezza divina, si presenta nella nostra immaginazione ogni volta la invochiamo.
E’ indelebile il ricordo di quando, militare in guerra, durante un furioso combattimento ravvicinato, in cui ogni speranza di salvezza era perduta, mi rivolsi supplice alla nostra Madonna ed Ella mi apparve nella sua immagine vivente e rassicurante.
L’altro simbolo della nostra comunit? ? il convento, luogo sacro di riferimento per ogni Bellonese, considerato la sorgente della nostra religiosit? e il faro illuminante della nostra vita. Per il Bellonese emigrato la sua scomparsa visuale intenerisce il cuore e la sua vista, al ritorno, anticipa la gioia. La campana ? la voce di una comunit?, un linguaggio che si fa capire da tutti, ma per i non residenti il suono di qualsiasi campana si identifica sempre in quello, considerato pi? armonioso, del proprio paese e di questo richiama alla mente i volti noti e i luoghi e sentimenti comuni.
Tu Bellona, ornata di colline, dotata di valori storici e morali e soprattutto di quello supremo della libert?, puoi essere fiera del tuo nome.
Poich? la vita ? l’ombra di un sogno fuggente, il mio ritorno definitivo accanto ai miei familiari e in una comunit? sempre vantata assolver? il mio obbligo morale verso il paese natio.
Antonio Rossi

EUGENIO ROSSI, residente a Napoli
Dirigente della Polizia di Stato
Napoli, 18 maggio 1998
Bellona,

ci conoscemmo quando venni alla luce, in un assolato Agosto di ormai tanti anni fa. Poi, crescendo, ci siamo amati. Tu mi vedesti giocare, spensierato bambino, nelle tue anguste ma sicure e tranquille vie e cullasti i miei sogni di giovane, finch? all’inizio di un odoroso maggio, per ragioni di lavoro, io dovetti lasciarti per raggiungere, giovane funzionario di polizia, la questura di Venezia. Fu per?, come poi gli anni hanno confermato, solo un distacco fisico, perch? il mio cuore non ti ha mai dimenticato, il mio amore per te non si e mai affievolito. Pur vivendo, allora, in quella splendida citt? lagunare, unica al mondo, gloriosa per l’arte, meta agognata di chiunque ami il bello, io non perdevo occasione per ritornare da te, per rivederti distesa ai piedi delle colline appenniniche, carezzata dal dolce clima a me familiare. Durante il viaggio, quando da lontano, mentre ancora ero in treno, scorgevo il convento sul monte Rageto, mi sentivo gi? arrivato! Da te ritrovavo i miei vecchi compagni di giuoco e di scuola, i miei amici, i miei familiari, la mia casa: quanta gioia provavo! Tu sei la mia terra d’origine, il mio costante punto di riferimento, insomma tu sei Bellona ed io un bellonese. Mi sono poi trasferito, sempre per lavoro, in varie citt? d’Italia fino ad approdare a Napoli, ove vivo sull’amena collina del Vomero, ma il mio amore per te non ?
mutato, e ancora oggi ritorno spessissimo da te, come ho sempre fatto e sempre con immutata gioia.
In tutti gli anni trascorsi, non sono mai mancato al tuo appuntamento pi? importante, quando ti vesti a festa per onorare la nostra Protettrice; il marted? in albis mi ha sempre visto presente da te!
Sei sempre stata nel mio cuore e nei miei pensieri, e non ti dico quanta gioia ho sempre provato quando, lontano da te, incontravo qualche Bellonese. Fosse amico, o semplice conoscente, per me era comunque una persona graditissima, da accogliere con affetto e con ogni premura, perch? era un compaesano, un Bellonese. La prima volta mi capita a Venezia. Ero a pranzo con mia moglie alla Taverna dei Dogi, quando scattai dalla sedia, precipitandomi verso l’ingresso: stava entrando un Bellonese che, residente all’estero, era in gita turistica.
Ogni qualvolta mi si ? chiesto di dove fossi, non ho mai risposto “sono napoletano”, come generalmente usano i meridionali ed in particolar modo i campani ma ho sempre dichiarato orgoglioso: “sono di Bellona”, subito aggiungendo, perch?, purtroppo, molti non ti conoscono “un piccolo e simpatico paese in provincia di Caserta, vicino Capua” e continuavo tessendo le tue lodi. Anche i miei collaboratori conoscevano il mio “pallino” per te: un giorno a Napoli, un mio ispettore, mentre riceveva una denunzia di rapina, sentito dichiarare dal denunciante che era nato a Bellona, interruppe immediatamente il verbale e venne ad avvisarmi nel mio ufficio; raggiunsi subito il compaesano, che rest? grato e meravigliato per l’accoglienza.
Potrei raccontarti tante testimonianze del mio amore per te, ma sarei prolisso, perci? chiudo queste mie righe confidandoti un mio desiderio. Quando il Signore avr? deciso che io torni a Lui, sarai ancora tu, Bellona, ad accogliermi, perch? io riposer? nel tuo vecchio cimitero, accanto ai miei genitori.
Eugenio Rossi bellonese

RAFFAELE ROVELLI, residente a Trezzano S/N (MI)
Commercialista
Trezzano S/N, 19 aprile 1998
Cara Bellona,
madre terra e anche matrigna, spesso sei stata ingenerosa con i tuoi figli permettendo e, quel che ? peggio, obbligandoli a partire e vivere in altri luoghi che, sebbene relativamente lontani, non potranno mai degnamente sostituirti. L’amore, gli affetti, la terra culturale che legano un emigrante alla sua Terra natia sono come tanti fili di nylon, sottili ma resistenti.
Io mi sento legato a te da uno, forse pi? di uno, di questi fili che per me sono come un elastico,che spesso mi attira con forza e altrettanto con forza mi respinge.
Quando mi avvicino mi appari splendente e meravigliosa incorniciata tra le colline che ti circondano da un lato e dall’altro dalla verde pianura che si estende fino al mare. Net mio immaginario ti vedo ancora come quando sono partito, antica e laboriosa, conservatrice di alti valori morali e culturali. E, tuttavia, al momento del mio arrivo, mi ritrovo in una realt? diversa dal mio immaginario e presto mi devo rendere conto del tuo cambiamento, che certi valori sono stati accantonati per far posto agli interessi personali, ad un alto livello di litigiosit? e ad una preoccupante mediocrit? politico amministrativa che oltre un certo livello non riesce ad andare.
Tu, cara ed amata Bellona, hai bisogno s? di cambiamento, ma di un cambiamento vero, ove l’ipocrisia che pavoneggia tra i tuoi figli sia bandita, o quantomeno soffocata, e la lealt?, la operosit?, la fraternit? ed il coraggio di operare, scelte sociali utili a tutta la comunit? possano servire da stimolo ad un miglioramento,non solo sotto l’aspetto istruttivo, ma culturale nella sua essenza sia immanente che trascendente, in modo da assolvere e colmare quei vuoti che la mancanza di idee o di volont? ha generato.
Quando riparto, spinto dall’elastico, mi assale la tristezza poich?, ancora una volta, vengo sospinto lontano, messo delicatamente alla porta e, mano mano che mi allontano, reagisco ai molteplici sentimenti che si intrecciano dentro di me trasformandoli e fondendoli in uno solo: la speranza che qualcosa possa cambiare e tu, amata Bellona, spero possa essere in futuro pi?, madre che matrigna verso quei figli che in te crederanno e ti ameranno.
Io parto, ma ritorner? perch? tu custodisci le mie radici, la mia storia, il mio essere. I miei figli, the sono anche figli tuoi, hanno imparato a conoscerti ed insieme a me ti chiedono giustizia ed amore.
Un arrivederci triste ma pieno di speranza.
Raffaele Rovelli

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